martedì 24 luglio 2018

Lista di guerra - 1939: L'abisso del passato

L. Sprague de Camp
Nel 1939, a sentire Wikipedia, furono pubblicati 37 romanzi, alcuni dei quali di autori ben noti: Chiedi alla polvere di John Fante, Il colpo di grazia di Marguerite Yourcenauer, Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, Il grande sonno di Chandler, di cui parlammo qualche anno fa, Finnegans Wake, ultimo romanzo di James Joyce, Furore di John Steinbeck e molti, molti altri, tra cui, tanto per curiosità, aggiungo un sequel di Heidi, la piccola pastorella svizzera, uno di Anna dai capelli rossi e uno di Tarzan.

Il primo a comparire in ordine alfabetico è tuttavia un certo L'abisso del passato, titolo originale Lest Darkness Fall, romanzo fantastico, storico, o per meglio dire ucronico, di L. Sprague de Camp.

L. Sprague de Camp, tanto per darvi un'idea di chi fosse, è lo scrittore statunitense che usò per la prima volta il termine extraterrestre nella sua accezione di "vita aliena", che tirò fuori la sigla E.T. e che faceva comunella, tra gli altri, con Isaac Asimov e Robert A. Heinlein. Con lui sprofondiamo nel mondo della science fiction, ma anche del fantasy e dell'historical fiction.

Voi lo sapete, la science fiction non è esattamente uno dei miei generi preferiti. Ma sono sicura che, andando avanti a leggere il post, capirete al volo il perché di tanto entusiasmo per questa scelta di lettura.

L. Sprague de Camp è uno dei primi scrittori di fantascienza a giocare con la storia e a incoraggiare i suoi personaggi a modificarla. È, quindi, uno dei primi a scrivere ucronie.
A giocare nello stesso modo con la storia, prima di lui, c'era stato Mark Twain con il suo A Connecticut Yankee in King Arthur's Court (Un americano alla corte di re Artù) del 1889, un romanzetto davvero simpatico che io lessi in un soffio alle elementari e che per anni ricercai invano, probabilmente perché non ne ricordavo né autore né titolo.
Nel romanzo di Mark Twain, un americano viene colpito da un fulmine e, come per magia, si ritrova in un medioevo lontano e sconosciuto, quello di re Arthur. Grazie alle sue conoscenze di uomo del XIX secolo, lo Yankee sopravvive a tutte le prove che gli si presentano con straordinaria ingegnosità, tanto che i personaggi medievali che si ritrovano ad ammirarne le abilità iniziano a considerarlo ben presto un mago e lo chiamano Merlino.

Quando L. Sprague de Camp, ingegnere aeronautico di formazione, si ritrovò a leggere il romanzo di Mark Twain probabilmente pensò di avere davanti agli occhi un potenziale capolavoro, se non fosse stato per le critiche che la sua mente altamente razionale e la sua vocazione di educatore lo costringevano ad avanzare contro la mancanza di logica di determinati escamotage narrativi. Così, in risposta a tali pecche, lui, L. Sprague de Camp, scrisse un suo romanzo di viaggio nel tempo in cui l'improbabilità della situazione di partenza - uno spostamento del personaggio principale nel tempo causato da un fulmine - viene spiegato razionalmente con una teoria verosimile che non vi sto a raccontare.

E qui inizia la storia di Martin Padway, un archeologo americano che si trova a Roma per partecipare a una conferenza. In visita al Pantheon con un collega del posto (e qui è davvero esilarante la scenetta in macchina con il collega romano: sembra di viaggiare in automobile per le vie della capitale al giorno d'oggi, con il traffico, le parolacce e le acrobazie avventate di un automobilista romano provetto!), il nostro protagonista viene colpito da un fulmine e catapultato in una Roma di centinaia e centinaia d'anni prima.

Ma, prima di andare avanti, ve lo avevo detto che L. Sprague de Camp, tra le altre cose, aveva una passione per la storia antica e, in particolare, per quella bizantina?
Ebbene sì, e per colpa di questa passione il nostro protagonista Martin Padway viene precipitato proprio nel primo medioevo, in una Roma ostrogota, e più precisamente nell'anno del Signore 535. Gli Ostrogoti sono padroni d'Italia, ma i Romani d'oriente, quelli che comunemente vengono chiamati Bizantini, sono decisi a riprendersi il possesso della penisola.

Martin Padway giunge in quell'epoca e in quel luogo proprio nel momento cruciale in cui la guerra tra le due potenze, quella dei barbari goti e quella dei Romani d'oriente, sta per scoppiare. Lui, da bravo studioso del XX secolo, si rende subito conto che, per quanto possa fare, non riuscirà mai a trovare il modo di tornare a casa nel futuro e, con una sorta di rassegnato entusiasmo, decide che gli resta ben poco da fare se non sopravvivere e usare le sue conoscenze per far progredire la storia il più velocemente possibile e impedire che si cada nei secoli bui del medioevo. Grazie al suo intervento, risparmierebbe all'umanità un bel po' di grane, pensa il nostro protagonista.

L. Sprague de Camp nutre evidentemente una scarsa stima per i secoli bui ultimamente rivalutati del medioevo. Tuttavia dimostra una profonda conoscenza dell'epoca da lui narrata e, allo stesso tempo, un desiderio quasi maniacale di condividere tali conoscenze con il lettore. E fa di più, perché non solo descrive le figure storiche e le situazioni, ma le analizza e ne spiega persino le cause e le motivazioni. Subito, dalle prime pagine, si capisce che il VI secolo era caro allo scrittore almeno quanto è caro a me. E sebbene L. Sprague de Camp scivoli a volte su imprecisioni storiche, a mio parere del tutto perdonabili (gli slavi, ad esempio, è difficile che facessero parte dell'esercito imperiale che invade l'Italia gota, visto che Procopio, fonte storica autorevole e testimone degli eventi, parla delle loro prime incursioni nei territori bizantini per fuggire dai barbari delle steppe nelle fasi avanzate delle guerre in Italia; e calcolando che queste guerre sono durate 20 anni, si capisce subito come mi faccia difficoltà vedere nell'esercito invasore dei romani del 535 orde di barbari slavi); come dicevo, a parte queste piccole scivolate storiche, lo scrittore è molto abile a descrivere la società multietnica del tempo, con la sua variegata convivenza di razze, di credi e di eresie, di lingue e culture.

Leggendo il romanzo e le storie dei personaggi ebrei, vandali e goti, una sensazione familiare mi ha cullata fino alla fine: la sicurezza di aver studiato sugli stessi testi su cui anche L. Sprague de Camp ha studiato.

E tuttavia, il romanzo non è un capolavoro. Come dicevo, l'intento del protagonista di usare le sue conoscenze tecnologiche per far compiere un balzo in avanti e cancellare il Medioevo dalla storia dell'umanità denota una concezione storica un po' sorpassata, e questo mi ha un po' disturbata. Mettiamoci una scrittura un poco frettolosa, i tratti psicologici dei personaggi tagliati con l'accetta, il carattere didattico del volumetto, ed ecco qua: ne viene fuori il perfetto romanzo d'intrattenimento per ragazzini appassionati di storia unita a un tocco di fantascienza, ma nulla di più.

Se poi mi soffermo sul dubbio di quanto i ragazzini d'oggi ricordino chi fossero i Bizantini, figurarsi gli Ostrogoti, allora mi viene davvero da pensare che il romanzo di L. Sprague de Camp, al giorno d'oggi, non farebbe molto successo, nemmeno tra gli adolescenti secchioni. Ma sicuramente nel 1939 era diverso e i barbari antichi avevano ancora un loro fascino tra i lettori di tutte le generazioni. Come spiegare, altrimenti, le numerose ristampe?



4 commenti:

  1. Di quelli che citi ho letto Il grande sonno di Chandler e da poco Furore di John Steinbeck.

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  2. Io tentai di leggere Il grande sonno, tanto tempo fa, ma lo lasciai a metà. Forse dovrei riprovarci, prima o poi. E Steinbeck, dopo l'incipit che ci hai fatto leggere l'ultima volta sul tuo post, l'ho messo in fila tra le mie letture. :)

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    1. Oddio, una lagna Il grande sonno, l'ho letto quest'anno. A breve ne leggerò un altro dell'autore, speriamo in meglio.
      Di Steinbeck ho iniziato a comprare un po' di roba :)

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    2. Ah, allora non ero io! E' proprio Chandler ad essere un po' pesante! Vabbe', e' anche il primo nel suo genere, quello che ha inventato Humphrey Bogart, in poche parole.

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