martedì 21 agosto 2018

Liste di lettura - 1942: Lo straniero


Questo che sorride in maniera così disarmante è Albert Camus, scrittore, filosofo, premio nobel nel 1957 e autore de Il mito di Sisifo e Il primo uomo tra le altre cose.

Se lo conoscete un minimo, capirete del perché questa foto e questo bel sorriso all'apparenza sincero e spontaneo mi abbiano subito catturato.

Cosa c'entri Camus con la lista delle letture di guerra non è difficile immaginarlo, ma prima, come al solito, guardiamoci intorno e consideriamo i lavori del 1942.

Il primo della lista dei pubblicati di quest'anno lo conosciamo: L'alfiere di Carlo Alianello.
Ci ritroviamo anche uno scrittore spagnolo da premio nobel come Camilo José Cela col suo La famiglia di Pascual Duarte, La luna è tramontata di Steinbeck, qualche Maigret e poco di più.

Tra quel poco di più ci troviamo Albert Camus, anche lui premio nobel, col suo Lo straniero. Uno di quei romanzi che bisogna leggere almeno una volta nella vita - o forse no -, e che di sicuro non parlano della guerra, ma subiscono un'enorme influenza dal sentimento generale di pessimismo imperante che ormai nel 1942 era ben più che tangibile.

Di cosa parla Lo straniero? In due parole:

Protagonista de Lo straniero è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Persino al funerale della madre, Meursault assiste con una distaccata apatia. Un giorno, a causa di un litigio tra un suo conoscente e un arabo, inesplicabilmente Meursault uccide l'arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne.
Preso da qlibri

Di analisi su questo testo ne trovate a bizzeffe, e mi fa strano che alcune siano state buttate giù dando l'impressione di non conoscere affatto la corrente dell'esistenzialismo, a cui Camus si sente evidentemente vicino.
In ogni caso, proviamo a raccontare le mie impressioni, tanto per chiarirle prima di tutto a me stessa. 

Le uniche cose reali che sembrano esistere in questa storia sono la calura del giorno riarso dal sole algerino e la frescura delle sue serate. Per tutto il romanzo il calore, l'afa, il senso di soffocamento e il sollievo del calare della sera fanno da padrone. 

Accanto a questo disagio percettivo continuo che sembra quasi gettare il personaggio e il mondo intero in uno stato febbrile, ci sono le intuizioni esistenziali del protagonista narratore in prima persona.

Quali sono queste intuizioni?
In breve:
  • La morte è l'unico punto fisso in ogni esistenza;
  • Come quest'esistenza venga vissuta è una faccenda del tutto priva di importanza.
Che la morte sia il punto d'arrivo dell'esistenza, si sa e non ci si può fare molto. Bisogna rassegnarsi.
Che arrivi subito o tra venti anni, la lotta dell'individuo, che per sua natura è portato a ribellarsi alla sua sorte banale, è priva di senso. Eppure questa lotta è anche l'unico mezzo per arrivare all'accettazione della verità. E qual'è la verità se non che la vita non sia null'altro che ciò che precede il punto fermo che è la morte?
La vita, quindi, non ha un senso in sé, ma viene definita solamente in virtù del suo punto d'arrivo, che è appunto la morte.

Una volta che si è capito che la vita non ha un valore intrinseco, è facile giustificare l'indifferenza quasi snervante del personaggio. I sentimenti sfiorano appena l'essere cosciente, il senso di straniamento si fa sempre più concreto perché questo è l'unico modo sensato di vivere la vita, che non è altro che il lasso di tempo che ci separa dalla morte.
E dopo la morte?
No, non vi illudete, niente speranze: un vuoto eterno, il niente.

A questo punto, che senso dare alla vita? Ma soprattutto, come viverla, questa vita?
Come vi pare, naturalmente. Perché nulla ha importanza.
Non ha importanza distaccarsene o cercare di aggrapparsi ad essa, non ha senso cercare relazioni, empatizzare con gli altri o, al contrario, isolarsi in una torre d'avorio. Meursault ce lo dice col suo agire: egli non si isola dal mondo, ma continua a muoversi in esso come una persona qualunque, anche se, ad un livello più intimo, lui si limita a subire, più che vivere, gli accadimenti. È come se tutto quello che vive gli capitasse e basta, quasi fosse anestetizzato alla vita.

Tuttavia, questa sua incapacità di sentire la vita, come anche la consapevolezza che essa non abbia alcun valore, non gli evita di aver timore della morte.
Anzi, giustifica questa paura come una cosa naturale, parte dell'umanità dell'individuo. Allo stesso tempo, l'individuo non deve sentirsi sopraffatto dal suo timore, perché alla fine anche esso non è altro che un passaggio naturale e obbligato, almeno quanto lo sono la vita e la morte.

L'ultima riflessione che verrebbe da fare è quella che riguarda la reazione della società, degli altri uomini davanti a quest'uomo esistenzialista. Come nei vecchi drammi greci, c'è una nemesi, il riconoscimento dell'identità e delle qualità dei personaggi davanti alla giustizia degli uomini. Ma se nei classici il ruolo dell'assemblea degli uomini era quello di riabilitare l'eroe agli occhi della società e riammetterlo nel suo seno, ne Lo Straniero il ruolo del processo è quello di condannare apertamente non tanto il delitto, ma la mancanza di umanità del protagonista, la sua incapacità di partecipare all'assemblea sociale e umana. In mille modi viene ribadita l'indifferenza di Meursault davanti alla morte della madre, la freddezza, l'apatia che lo muovono in tutte le relazioni. Sembra questa la vera accusa che gli si muove contro, quella che lo condannerà a morte.

Insomma, un bel romanzetto allegro, tanto per far dimenticare le brutture della guerra al lettore bisognoso di evasione dell'epoca.

E se vi state chiedendo se mi sia piaciuto, permettetemi di prendermi del tempo per ragionarci su.
Di sicuro è un romanzo che ti parla e fa riflettere.
Ma allo stesso tempo, no, non credo mi stiano simpatici, questi esistenzialisti e filosofi dell'assurdo. La mia natura piuttosto ottimista si sente irrimediabilmente respinta da queste filosofie.

E adesso guardate ancora una volta il sorriso spontaneo del signor Camus, lassù in alto. Il dubbio che sotto sotto nemmeno lui ci creda troppo all'assurdità dell'assurdo salta su da solo, non è così?

 

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