mercoledì 16 ottobre 2013

Dumas e il suo "nègre"

Dumas: scrittore estremamente prolifico, tanto da chiedersi quando dormisse. Un po' di date possono far comprendere il mio punto:

Les trois Mousquetaires: marzo-giugno 1844
Vingt ans après: gennaio-agosto 1845
Le comte de Monte-Cristo: agosto1844-gennaio 1846 
La reine Margot: dicembre-aprile 1845
Une Fille du regent:1845
La dame de Monsoreau: 1846
Le bâtard de Mauléon: 1846-1847
Joseph Balsamo: 1846-1848
Les Deux Diane: 1846

L'elenco delle opere di Dumas realizzate o intraprese in un biennio sembra infinito. E vale la pena ricordarlo: non stiamo parlando di raccontini, ma di romanzoni in tre o quattro tomi ciascuno.

Ora: è vero che Dumas figlio dice di aver visto il padre al lavoro anche per 12 ore filate, è vero che aveva un'infarinatura di eventi storici particolari (tra il 1839 e il 1840 aveva pubblicato Crimes célèbres, una raccolta di 18 racconti con una base documentale molto approfondita di fatti storici che di tanto in tanto fanno capolino nei suoi romanzi), e può anche essere vero che alcuni lavori li aveva sviluppati almeno in forma embrionale in precedenza. Ma, nonostante questo, fa difficoltà pensare che lui da solo sia riuscito a mettere  insieme una simile produzione.

Ed infatti, come si sospetta, c’è dietro un nègre, un ghostwriter conclamato, anche se non proprio acclamato. Il più celebre tra i vari che lo aiutarono fu lui:
Auguste Maquet
Alcuni dicono di lui che fosse un ricercatore di fonti e fatti storici, un "preparatore", altri un segretario. In realtà Dumas stesso lo riconosce più volte come suo collaboratore e ne loda il lavoro.

Ma cosa vuol dire esattamente "collaboratore"?

Beh, collaboratore è colui che trova il soggetto, lo sviluppa in un piano dettagliato, ne traccia i capitoli e i dialoghi.

No, non confondiamo i ruoli. Non stiamo parlando dello scrittore vero e proprio. Stiamo parlando di Maquet che, un po' per timidezza, un po' per compenso, non osa esigere il suo nome accanto a capolavori come I tre Moschettieri o La regina Margot se non in tarda età.

E allora, vi chiederete voi, cosa resta da fare allo scrittore vero e proprio, colui che firma le opere e che si prende tutto il merito?

Beh, secondo Gustave Simon e il suo Histoire d'une collaboration* (1919), non gli resta che trascrivere i manoscritti che gli vengono consegnati, facendoci delle modifiche, ben inteso, aggiungendo episodi, rendendo la lettura più scorrevole in base ai suggerimenti che il suo talento spropositato gli dettava.

Perché alla fine la grandezza di Dumas era proprio questa: riprendere la storia zoppicante di altri e trasformarla in una storia entusiasmante.

Ma non giudichiamo questa prassi come truffaldina. Nell'800 non era raro assistere a queste forme di collaborazioni, anzi! Era una pratica comune che pochi aborrivano.

E allora, perché Dumas non accontenta Maquet e gli concede di firmare come coautore?
Probabilmente, per una semplice questione di diritti d'autore. Soldi. Il compenso che Maquet prendeva come collaboratore era misero in confronto ai diritti d'autore che Dumas ricavava dai romanzi e dai drammi che ne ricavavano insieme.

Ma sia ben chiaro, Dumas non era attaccato al denaro, al contrario: era fin troppo prodigo. E proprio per questo aveva costante bisogno di denaro, per accontentare i creditori e mantenere il suo stile di vita eccentrico. Ecco perché non poteva permettersi di spartire gli entroiti dei diritti d'autore con il suo co-autore Maquet.

Naturalmente Maquet viveva non troppo bene questa situazione. Nel 1857-58 , quando i loro rapporti erano già deteriorati e la collaborazione solo un ricordo, Maquet intenta un processo contro Dumas. Il pretesto era quello di recuperare del denaro che quest'ultimo gli doveva per il suo lavoro, ma in verità mirava al riconoscimento del suo nome accanto a quello del grande scrittore nei loro lavori comuni. Non vinse. O meglio, gli fu riconosciuto il diritto di essere risarcito (cosa che non avvenne mai), ma il suo nome non comparve mai accanto a quello di Dumas.

Eppure una sorta di giustizia lo compensò, almeno in parte. Maquet scrisse altri romanzi storici firmati solo da lui che ebbero un buon successo, tanto da permettergli una vita agiata e vivere il resto dei suoi giorni da uomo ricco. Il contrario del suo mentore che morì povero, incapace di ripetere il successo ottenuto durante la collaborazione con il suo nègre. Certo, la gloria va a quest'ultimo. E credo che Maquet avrebbe volentieri rinunciato al suo patrimonio in cambio di un po' di quella gloria. 

Ma non si può avere tutto dalla vita, no?

 --------------------


* L'Histoire d'une collaboration di Gustave Simon (1919) riordina le carte e i documenti che Maquet lascia alla sua morte.


Nessun commento:

Posta un commento