venerdì 10 gennaio 2014

Il romanzo di Dr House



  
Foto da handson.provocateuse
Eggià, anche Hugh Laurie scrive un romanzo: The gun Seller, pubblicato nel 1996.

Devo essere onesta, l'ho letto per la prima volta un annetto fa e di tutto il romanzo ricordavo ben poco: un inizio sottosopra che mi ha intrigato, una battuta finale che mi ha fatto ridere (e già questo dimostra secondo me che il romanzo vale la pena di essere letto, anche se a tempo perso) e una prima persona piacevole da seguire.

Potevo scrivere un post con questi magri spunti? Certo che no! E allora me lo sono andata a rileggere con più attenzione.
Diciamolo, credo che la vena artistica di Hugh Laurie non trovi il suo apice nella sua produzione letteraria, che tra le altre cose si riduce a questo romanzo; tuttavia possiamo dire che ne riflette le caratteristiche. Il suo punto di forza è l'ironia, lo humor del personaggio narratore. Le battute, il modo in cui racconta il mondo e i fatti che gli accadono sono l'essenza del romanzo, non la trama che uno può facilmente dimenticare.


Copertina della prima edizione, 1996.
Io, solitamente, non apprezzo eccessivamente il racconto in prima persona.  A meno che non sia un diario (genere che non mi entusiasma), la trovo abbastanza riduttiva, difficile da manipolare. Bisogna essere bravi per scrivere un thriller in prima persona. Laurie... ebbene, lui non è un genio letterario, questo è vero.
Lo dimostra il fatto che quelle rare volte che riporta monologhi di personaggi secondari ci mette quello humor che caratterizza totalmente la voce narrante, anche se stemperandolo. Badate bene, non dico che tutti i personaggi assomigliano alla voce narrante, ma solo che parlano a volte con lo stesso registro in sottofondo. E questo può facilmente venire considerato un difetto. Eppure, scegliendo una narrazione in prima persona, che riduce al minimo la necessità di creare più esseri parlanti, Laurie sembra consapevole di questa sua debolezza e la bypassa con intelligenza, al fine di poter sfruttare fino in fondo l'impatto del suo tono umoristico.

Vi riporto un esempio un po' lunghetto, ma che spiega il suo stile e, allo stesso tempo, il mio entusiasmo per l'inizio, quello di cui vi parlavo sopra.

Immaginate di dover rompere un braccio a qualcuno. Quello destro o sinistro, non importa. Il punto è che lo dovete rompere, perché se non lo rompete... beh, neanche questo importa molto. Ora, la mia domanda è questa: lo rompete velocemente - con un colpo secco, ops, spiacente, su, venga qui che la aiuto con quella stecca improvvisata - o la tirate per le lunghe per un buon otto minuti, incrementando di tanto in tanto la pressione nel più minuto dei modi fino a quando il dolore diventa rosa e verde e caldo e freddo e tutto insieme tremendamente insopportabile?
Ecco, esattamente. Certo. La cosa giusta da fare, l'unica cosa da fare, è farla finita il più velocemente possibile. Rompi il braccio, offri da bere, sii un buon cittadino. Non ci possono essere altre risposte.
A meno che.
A meno che a meno che a meno che.
E se invece odiaste la persona all'altro capo del braccio? Intendo dire, lo odiaste tanto, ma tanto.
Questa era una cosa che adesso dovevo considerare. Dico ora, intendendo dire allora, intendendo dire il momento che sto descrivendo; la frazione di momento, oh, così dannatamente frazionale, precendente il raggiungimento del mio polso alla mia nuca e alla rottura del mio omero in almeno due, molto presumibilmente più, pezzi flaccidamente uniti.
Il braccio di cui abbiamo discusso fino ad ora, vedete, è il mio.
Non è un astratto braccio filosofico. L'osso, la pelle, i peli, la piccola cicatrice sulla punta del gomito vinta sull'angolo del termosifone della scuola elementare Gateshill - appartengono tutti a me. E questo è il momento in cui devo considerare la possibilità che l'uomo in piedi alle mie spalle, che stringe il mio polso e lo guida su lungo la schiena con un grado quasi sensuale di accuratezza, mi odi. Intendo, mi odi davvero davvero. Ci sta mettendo una vita.
La traduzione imperfetta è la mia. L'originale suona bene, ve lo garantisco. Non basterebbe questo a invogliarvi a saperne di più? A me è bastato e mi ha regalato un paio di risate e qualche considerazione più o meno seria su svariate verità che l'autore ci infila dentro.

Mi scoccia fare la parte di quella che apprezza sempre le letture in cui si imbatte, ma anche questa volta mi sono divertita. E bravo Dr House!


Nessun commento:

Posta un commento