lunedì 12 maggio 2014

Il duro mestiere del detective





Chi lo ha detto che i migliori indagatori del crimine sono poliziotti?
Nessuno in effetti. Da Mr Dupin della Rue Morgue a Don Matteo della Rai Fiction, molti dei migliori, o almeno dei più riusciti, sono altro: Dupin è un solitario gentiluomo in disgrazia che non disprezza il suo destino; Sherlock Holmes è un detective privato; Miss Marple, una gentile vecchietta; Don Matteo (al momento l'eroe di famiglia preferito) è un prete. Oddio, anche Guglielmo da Baskerville, il frate detective de Il Nome della Rosa di Umberto Eco (1980) era un prete. E forse quest'ultimo verrà ricordato un pochino più a lungo del nostro beniamino biondo televisivo. Poi arrivano i giornalisti con le loro inchieste (un esempio tra tutti Mikael Blomkvist della trilogia di Millennium di Stieg Larsson, 2005-2007) e non possono mancare, a seguire, gli scrittori.

Copertina e autore di La verità sul caso Harry Quebert

La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker (2012) è uno di quei polizieschi in cui il detective è uno scrittore. Uno scrittore in crisi, perché dopo un primo libro sfolgorante, l'ispirazione se ne è scomparsa, inghiottita dalla solita crisi della pagina bianca che spesso diventa protagonista nei romanzi che parlano di scrittori. Tra le altre cose, quindi, c'è uno scrittore e il suo blocco.
Tra quelle "altre cose" a cui accennavo, c'è anche un mèntore che in anni precedenti ha aiutato il giovane scrittore a divenire tale, oltre che ad aiutarlo a divenire adulto. Non rovino molto della lettura dicendo che questo maestro di vita e di scrittura è proprio il menzionato Harry Quebert, mostro sacro della letteratura americana divenuto tale grazie al suo famoso romanzo "Le origini del male". E non penso di spoilerare il romanzo più di tanto lasciando intuire (velatamente! Non sia mai!) che ad un tratto proprio questo Harry Quebert si ritrova accusato dell'omicidio di una giovane quindicenne scomparsa da più di trenta anni che, guarda caso, si svela essere stata sua amante.

Blocco dello scrittore?
Ecco qua. Metà del libro l'ho passata a percorrere il passato dei protagonisti, un passato che balza qua e là su una linea temporale di più di trenta anni e che racconta principalmente di lui, Harry Quebert, della giovane Nola e di Marcus, scrittore in crisi d'ispirazione. E per tutta quella metà, che non è poca, mi sono chiesta che cosa ci avesse trovato di così travolgente la persona che me lo aveva tanto raccomandato. Certo, i caratteri sono ben definiti e il loro passato risulta anche interessante, non lo nego.  Ma ad un certo punto mi sono ritrovata quasi a sentire l'eco di frasi già lette, pensieri già ascoltati, anche se il lettore paziente intuisce, sotto sotto, che ci deve essere uno scopo latente.
Mi sono anche chiesta come può un uomo maturo di 34 anni innamorarsi di una bambina di 15 anni, perché queste erano le età degli amanti all'epoca della scomparsa della ragazzina; e, soprattutto, mi sono chiesta come può lo scrittore vero, Joël Dicker, raccontare questa relazione un po' perversa in maniera convincente, senza lasciare che al suo lettore gli cadano le braccia ogni volta che ascolta il 34enne Harry Quebert, mostro sacro della letteratura statunitense, parlare del suo amore travolgente per la giovane Nola. Sì, per la giovane Nola quindicenne, la giovane donna che ride come una bambina, che parla come una bambina e che, anche quando si dichiara, si rivolge al suo oggetto del desiderio dandogli del "lei". Senza contare la figura che ci fa lui, Harry Quebert, che per lungo tempo non riesce a far altro che ripetere come un cerebroleso il nome di Nola o a scribacchiarlo ovunque. Ma forse, tutto sommato, era questo l'unico modo per rendere credibile e meno inquietante la storia.

Ma poi... poi arriva la seconda parte e il racconto prende un'altra dimensione. Quella dei possibili colpevoli alternativi.
E qui mi soffermo un attimo.
Cosa succede di solito in un giallo?
Si raccolgono prove che pian piano arrivano fino al colpevole. Semplice e scorrevole, possibilmente il più coerentemente possibile.
In questo romanzo, invece, sembra che Dicker si diverta a stravolgere la regola, a trovare i colpevoli, a scagionarli, ad insinuare di nuovo il dubbio ed ancora una volta affrettarsi a farlo cadere, per poi ammiccare ad altre possibilità. Ed ogni volta, o quasi, uno ci casca. E solo il controllare che alla fine mancano ancora un bel po' di pagine ci fa capire che c'è ancora dell'altro. Beh, non so a voi, ma a me non capita molto spesso. Di solito li fiuto abbastanza in fretta, i colpevoli.

Questo per quel che riguarda il romanzo giallo. Se non fosse che La verità sul caso Harry Quebert non è solo il racconto del caso, ma anche del libro sul caso e della sua storia editoriale. Ossia, il libro che il giovane Marcus scrive, uscendo dalla sua crisi e divenendo ancora più famoso di prima. Che poi è il libro che stiamo leggendo (ecco qua un altro piano del romanzo che confonde la finzione con il reale). E poi, c'è anche la storia artistica dell'altro scrittore, Harry Quebert, che a sua volta, alla fine, si macchia di giallo.

E tra tanti sviluppi, ci sono i trenta e uno
consigli per il giovane scrittore. Uno, in particolare, mi ha colpito per la sua verità:
Scrivere significa essere capace di percepire più profondamente degli altri e di trasmettere in seguito. Scrivere è permettere ai lettori di vedere ciò che a volte loro non possono vedere.
Ecco, anch'io credo, come Joël Dicker e Harry Quebert, che  lo scrittore sia colui che vede ciò che, pur guardando, non si riesce a percepire, per poi ri-raccontarlo in modo nuovo, affinché anche gli altri possano vedere ciò che lui ha visto per primo.

Per la mia tesi di laurea ho affrontato l'analisi di qualche fiaba di un poeta bulgato, Valeri Petrov. Lui mi ha mostrato con i suoi testi questa verità sugli scrittori e ogni volta che mi imbatto in discussioni insulse su definizioni o su motivazioni e scopi presunti dello scrivere, mi vieni in mente lui, la purezza del suo sguardo che sfoglia strati dalla realtà fino a trovare la sfumatura migliore. Per poi, grazie ad un atto che sembra naturale e leggero, ricreare quella sua visione con parole che sarebbero poesia anche senza la perfetta musicalità della metrica e della rima.
L'unico suo difetto: essere bulgaro e quindi non poter essere tradotto efficacemente in altre lingue. E siccome sono pochini i lettori in lingua bulgara, non nutro troppe speranze di vederlo acclamato come si merita.

Valeri Petrov e il suo invadente vicino di casa , all'ora del te.

Nonostante questo, mi sentivo di menzionarlo, di farlo diventare un po' meno ignoto almeno di nome, anche se non c'entra molto col poliziesco in genere e con La verità sul caso Harry Quebert in particolare.




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