giovedì 23 ottobre 2014

Quando l'opera si affaccia sulla storia



Possiamo dirlo con leggerezza?
Quando l'opera si appropria della storia, di solito, fa un gran casotto!

Ma l'opera di per sé è una forma d'arte contorta, spesso tronca, se vogliamo. Sì, perché non è solo componimento musicale, non è solo recitazione scenica e non è solo espressione lirica. È tutto questo e nel tentativo di esserlo, non raggiunge la perfezione in nessuno di questi generi. Il testo è piegato alla musica, la composizione alla scena, la voce costretta a seguire le contorsioni di pose teatrali e, viceversa, la recitazione costretta a inseguire scale di impensabili altezze.

Questo non vuol dire che l'opera non raggiunga dei sublimi traguardi o che non sia degna di ammirazione profonda. Al contrario!
Vuol solo dire che, anche quando essa riesce a mescolare al meglio le sue componenti fino a farle divenire un tutto organico di notevole valore, l'una o l'altra di queste ultime, se non tutte, devono pagare un prezzo a favore dell'insieme.

Mettiamo, ad esempio, la storia vera raccontata a suon di arie.
Prendiamo un'opera a caso, I Goti di Stefano Gobatti, libretto di S. Interdonato, e seguiamone la storia che, guardacaso, ricalca quella in cui ultimamente ci siamo imbattuti: la storia dei Goti.

Confrontiamo, poi, le due storie: quella vera e quella rimanipolata.

All'indomani della morte di Teodorico il grande, il barbaro che ha trascinato tutto il popolo dei Goti in Italia e che ha regnato su italiani e goti per una trentina d'anni con sapienza e onore, si pone un piccolo problema di successione: il nipote Atalarico, erede legittimo, è ancora un bambino. Diventa re, come è giusto che sia, ma gli viene assegnato un reggente fino alla maggiore età: sua madre Amalasunta.

Atalarico non era tagliato per diventare un gran re. Un po' ci si mettono i maggiorenti goti che non amano molto le idee filo-romane della regina e che, quindi, trovano il modo di sottrarre il fanciullo all'educazione classica che gli voleva impartire Amalasunta in favore di una più guerriera. Un po' ci si mette il carattere fiacchetto del ragazzo che si lascia ben volentieri educare secondo i principi delle rozze soldatesche: eccessi, eccessi e ancora eccessi. Fatto sta che, ancor prima di raggiungere l'età per reclamare il regno, Atalarico muore proprio a causa degli eccessi.

A questo punto, la regina Amalasunta si trova in difficoltà. Prima di tutto perché gli usi dei goti parlano chiaro: donne, al trono, non possono andarci. E lei sa che qualunque dei nobili Goti una volta salito al trono, avvierebbe una politica contraria a quella portata avanti da suo padre prima e da lei dopo, quella che creava prosperità nel paese grazie ad una politica di uguaglianza, non di oppressione, tra popolo goto e popolo romano.

Insomma, Amalasunta teme. Per evitare di essere destituita, associa al regno un suo cugino, un certo Teodato. Uomo colto ed eccessivamente avaro, pavido e ignorante di cose di guerra, questo nuovo re gioca sporco e nonostante i giuramenti di non interferenza con le cose politiche, lui ci mette il naso, diventa avido di potere e fa imprigionare la regina. Poi arrivano i nobili che chiedono vendetta per spargimenti di sangue di loro parenti avvenuti in precedenza per ordine della stessa Amalasunta e Teodato lascia fare. Amalasunta viene uccisa per vendetta e Giustiniano, imperatore d'Oriente che si poneva a protettore della regina, prende la palla al balzo e dichiara guerra ai traditori della famiglia dei reali goti. Inizia la guerra.

Questi gli eventi raccontati liberamente ne I Goti. Anzi, no, sarebbe più corretto dire rivisti. Perché d'un tratto i tempi dell'opera concentrano i tempi storici in un vortice rocambolesco di eventi semi-veri.

Così assistiamo alle trame di Teodato per assassinare Atalarico, fatto completamente di fantasia. Le scene si aprono proprio con l'assassinio del re e la dichiarazione sfacciata da parte di Teodato di voler salire al trono e vendicarsi di anni e anni di maltrattamenti, anche questa cosa che non trova fondamento nella storia reale. Arriva la regina Amalasunta, innamorata e ricambiata da un romano di rango non proprio paritario, che però è costretta ad acconsentire al matrimonio con Teodato, l'infido. Matrimonio che non può aspettare se non il giorno seguente.

Insomma, per farla breve: Amalasunta, col cuore spezzato, cede alle ragioni di stato, sposa Teodato mentre piange la morte del suo adorato figlio e la separazione dall'amante romano. Poi viene tradotta nel luogo di prigionia e impazzisce. Arriva il suo amante che tenta di liberla ma, come è giusto che sia, entrambi muoiono felici e contenti. E tutto questo dopo una tonnellata di presagi e visioni, che non guastano mai.

Io non sono riuscita a vedere l'opera. Ho solo letto il libretto e già lì, oltre ad echi di eco risalenti ad esempi più illustri, mi sono sentita un pochino in imbarazzo. Ma questo sicuramente è perché, come dicevo sopra, non si può giudicare un'opera dal solo libretto, ossia da una sola delle sue componenti.
Però, poi, leggendo i commenti sul web, mi è venuto il dubbio che anche il resto non sia proprio valevole di nota.

Se volete conoscere la storia de I goti, che io trovo anche buffa e che all'epoca (1873) fece molto rumore a causa di una serie di disguidi, andate a leggervi www.operamanager.it.

Per il resto, si avvicina Halloween. E, anche se è festa pagana, l'atmosfera che porta con sé eccita la voglia di altre letture...

Ma prima uno stacchetto musicale, uno di quelli che ci sta sempre bene.


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