domenica 19 ottobre 2014

Quando il self publishing si appropria della storia



Vi avevo già detto che i romanzi che trattano del periodo subito susseguente la deposizione dell'ultimo imperatore romano d'Occidente sono davvero pochi, vero?

Provate, provate a vedere con i vostri occhi. Andate su Amazon e digitate una qualsiasi parola che abbia a che fare con Goti, Teodoro, Giustiniano o uno degli altri protagonisti dell'epoca.

Lo sapevo, lo avete trovato anche voi, vero? Quel I Cavalieri del Crepuscolo (2013) di Marco Cristini.

Sì, parla dell'Italia durante il 500. E, come avrete intuito, è un romanzo auto-pubblicato.

Ecco, questo è il primo di quella nuova orda si romanzi senza padrini che popola ormai il web che mi capita sottomano. O meglio, no, non è il primo, se consideriamo quello di Chiara Prezzavento, L'itala Giuditta. Ma è senz'altro il primo che risponde ai miei dubbi riguardo alla bontà dell'uso e dell'abuso dell'auto-pubblicazione.

Perché uno scrittore non dovrebbe scrivere, correggere e pubblicare la propria storia da solo? Perché c'è il rischio di fregarsi con le proprie mani.

Ma aspettate, andiamo con calma.
Anche per voi è la prima volta che vi imbattete in un self-publishing di non professionisti? No, non acquistate il libro per capire di cosa parlo, ma continuate a leggere.

Siamo in un'Italia che solo da pochi anni è stata conquistata dai Longobardi. Per chi non lo ricordasse, dopo la guerra tra impero bizantino e goti, l'Italia cade sotto il dominio romano. Ma la pace dura ben poco perché, appena una quindicina di anni dopo la morte dell'ultimo re goto, arrivano i Longobardi. E questi sì che erano barbari!
Succede che proprio in questo periodo il sacerdote di una piccola comunità non meglio specificata si decide a scrivere la storia delle vicissitudini di una coppia di sposi, così, a carattere esemplare. Lui stesso in prima persona ci dice che le sue fonti sono state due manoscritti capitatigli tra le mani per caso: Chronica Amalasuntae reginae di Cassiodoro e De vita mea di Iulio Valerio Pupieno. Emtrambi i manoscritti sono fittizi. Ma se l'esistenza del primo potrebbe passare per credibile (Cassiodoro è stato davvero un personaggio storico molto vicino alla corte dei Goti e ad Amalasunta, loro regina), l'altro, quello che nelle intenzioni dell'autore dovrebbe rappresentare una sorta di diario intimo, non suona proprio "giusto". In epoca tardo romana, un diario che racconta non guerre o dissertazioni filosofiche o auto-celebrative, ma vicende amorose di due privati cittadini e che non si rivolge ad altri che ad una cerchia più che ristretta di parenti e conoscenti?
Mmmm...

Ma andiamo oltre e facciamo finta di niente. Sorvoliamo anche sul linguaggio eccessivamente sbrodoloso che il sacerdote impiega per osannare ogni tre linee la bontà del Signore (e qui bastava leggersi Gregorio magno con i suoi Dialoghi anche solo di sfuggita per rendersi conto di quanto un tale modo ossequioso sia un po' fuori luogo) e passiamo alle considerazioni narrative in cui lo stesso sacerdote, umile e pio, si imbatte.

"Come posso esporre il mio scritto?" si chiede fin da subito. "Che faccio, descrivo la storia della calata dei Goti, da cui tutto è iniziato? Ma no, sicuramente il mio lettore la conosce. E se non la conosce, ci sono tanti testi a cui poter fare riferimento."
Davvero???
Ehm... Sinceramente no, non credo. Perché, a parte la tradizione orale degli stessi Goti che raccontavano le loro imprese e discendenze, all'epoca c'era solo una storia scritta da Cassiodoro su tale popolo (origine, spostamenti e calata in Italia) e  sicuramente non veniva divulgata come lettura domenicale nelle piazze o nelle chiese. E poi, parliamoci chiaro, ma quante copie potevano esserci in circolazione? Di sicuro il lettore della sua storia (lettore! Suona così anacronistico l'uso di questo termine, qui) non avrebbe potuto procurarsi su due piedi un simile manoscritto.

"Oppure," aggiunge il sacerdote narratore, "potrei descrivere i personaggi, tanto per iniziare. Ma così tolgo al lettore il gusto di scoprirli pian piano, cosa che personalmente ritengo essere lo stimolo che spinge l'uomo a leggere qualsiasi opera letteraria."
E come darti torto, prete di campagna? Questo è lo stimolo che spinge ogni lettore MODERNO a leggere. Ma al tempo dei barbari?
Al tempo dei Dialoghi di Gregorio Magno o delle Guerre di Procopio, siamo sicuri che il lettore leggesse davvero solo per il gusto di leggere? E, visto che molto probabilmente lo faceva per dovere, studio o elevazione, siamo sicuri che non trovassero più comodo avere davanti a sé una struttura narrativa lineare e, se vogliamo, pragmaticamente noiosa? Onestamente, questa in cui si impelaga il narratore mi sembra tutta una questione, ancora una volta, anacronistica.

Diciamocelo chiaro e tondo, questa prima paginetta ha tutta l'aria di un manifesto delle intenzioni dello scrittore, non del narratore. Ed ecco che, allora, inizio ad avvertire un senso di vertigine: vedo doppio, l'autore e il narratore si confondono, gli spazi temporali dilatati cercano di riavvicinarsi sfidando ogni legge della natura, i lettori di riferimento e quelli reali si sovrappongono e io dubito: varrà la pena di leggermi un volume che si prospetta avere il doppio di pagine rispetto alla media e che parte in questo modo?

Ma poi uno si dice: siamo appena all'inizio dell'inizio, dagli un'altra possibilità. E ricordati! Parla della storia dei Goti...
Ok, seguitiamo, allora.

Ed ecco qua, nemmeno il tempo di riprendere coraggio che ci imbattiamo in una ripresa a volo d'uccello (non ripeterò qui che un narratore medievale se la sognava la ripresa a volo d'uccello come espediente narrativo, ma fate come se lo avessi detto): un gabbiano che, con perizia di archeologo, ti conta pure gli anni  che sono passati dall'ultima volta che il molo su cui svolazza è stato usato. Dopo una relativamente breve descrizione, ti inquadra due figure che chiacchierano tra loro e, anche se per ammissione dello stesso narratore il povero "pennuto" non poteva capirci un granché del loro dialogo, lui continua a farsi gli affari loro. A questo punto tocca al narratore riferire: un tizio corre sul molo verso un altro tizio che prega ai piedi di una statua raffigurante la Madonna. Il primo dice al secondo che gli dispiace disturbarlo mentre è in preghiera (ridiciamolo, in caso il lettore non lo avesse intuito, che l'uomo sul molo pregava), ma è appena arrivata una missiva importante dal palazzo reale. È la principessa in persona a scrivergli. "La lettera, infatti, non solo era ornata dal sigillo della figlia del re, cosa normale per la corrispondenza ufficiale, ma era stata scritta dalla stessa Amalasunta, come si poteva dedurre dalla calligrafia che Cassiodoro (il tizio in preghiera) conosceva molto bene."
Solo a me suona male?
Ma non abbiamo tempo di contemplare oltre la frase contorta. Ecco rifar capolino sulla nostra testa l'uccellaccio archeologo che, prima di far ritorno alle sue "ataviche attività", "avrebbe potuto scorgere, mentre le due figure si allontanavano, un raggio di sole nascente illuminare la statua e cospargerla di riflessi dorati."

Ok, a questo punto la mettiamo ai voti: quanti pensano che valga la pena di continuare questa lettura?



2 commenti:

  1. Ok, bisogna stare attenti a Nanu quando si pubblica un racconto storico :D

    Hai ragione, però. Bisogna documentarsi bene sul periodo storico di cui vogliamo scrivere. Io ho una storia del '400 in mente e ho già speso 20 euro per un libretto con alcuni dati che mi serviranno. E dovrò comprare altro, ovviamente.

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  2. Eh, i romanzi storici sono brutte bestie. :D
    Per fortuna, sul web si trovano tante informazioni e documenti a costo zero.

    In ogni caso, non credo di essere così esigente, dai! Anzi, Marco Cristini mi fa pure simpatia. Lo so, non sembra, ma giuro che se avessi tempo mi fermerei anche a finirne la lettura.
    E poi, grazie a lui, ho pure capito perché qualcuno insiste così tanto sul bisogno di sottoporre il manoscritto ad un editor. Io non so come va a finire quel romanzo, e magari è anche una storia che prende. Ma ha davvero bisogno di una sistemata. Non per forza da uno che si intenda di storia alto-medievale, ma da un qualunque occhio distaccato, che sia abituato a leggere un pochino.

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