mercoledì 15 ottobre 2014

Quando la fiction si occupa della storia


Non so voi, ma io provo una particolare attrazione per i romanzi storici. Adoro andarmi a ricercare la vera vita dei personaggi per poi confrontarla con quella descritta dall'opera di fantasia. E più sono corrispondenti, più mi esaltano.
Certo, non dico che i romanzi storici debbano essere solo racconto storico, altrimenti mi butterei senza remore verso saggi e manuali di storia. Nonostante questo, se in uno di essi trovo delle incongruenze o delle inesattezze, ecco che un senso di disappunto mi assale. Almeno fino a quando lo scrittore non riesce a giustificare pienamente il perché di quella inesattezza.

Data la premessa, comprenderete perfettamente il mio spirito nell'approcciare Citadel of God (1959) di Louis de Wohl, tanto più sapendo che il periodo storico di cui si parla mi è abbastanza familiare. Sì, perché la cittadella menzionata è quella fondata da San Benedetto a Montecassino. E il periodo storico raccontato è quello del regno di Teodorico fino a Totila, pieno 500, guerre gotiche incluse. Solo per il fatto di essere uno dei pochi su quel periodo, questo romanzo va letto, no?

Quindi, se da una parte mi aspettavo grandi cose, almeno tante quante la storia ci racconta, dall'altra avanzavo nella lettura con quel fare sul chi-va-là, timorosa che prima o poi ci sarebbe scappata la scivolata.

Che cosa ho trovato?

Ho trovato un dipinto storico molto fedele. E quando non lo è, il motivo è ben chiaro e argomentato e quindi perdonato e accettato di buon grado. Ma, d'altro canto, a volte risulta talmente fedele alla vera storia che sembra quasi raccontata da qualcun altro. Da uno storico, ad esempio. Da Hodgkin, se vogliamo proprio dirla tutta. No, non che riprenda pari pari le sue parole, ma il filo della storia e alcune notizie fondamentali per far avanzare il tutto sembrano proprio seguire le suggestioni di Hodgkin.

Ho trovato anche un bisogno ingiustificato di raccontare usi e costumi che per un appassionato o un curioso possono avere un loro perché, ma per un lettore comune rendono solo più lenta la lettura.
Un esempio?
C'è un gruppetto di romani altolocati che si raduna in casa di un senatore, il più nobile e colto tra loro. Naturalmente durante l'incontro non mancano fiumi di vino a rallegrare le loro elucubrazioni. Ora, ad un lettore medio cosa interessa sapere che l'uso dei romani in simili occasioni era avere tre diversi vini serviti in tre diverse brocche più la brocca dell'acqua (con tanto di nomi dei vini!)? A me diverte il particolare se abilmente infilato con a seguito una ragione, una battuta, qualcosa che ne giustifichi la presenza, ma lì per lì non è venuto in soccorso nemmeno un pretesto che non fosse il puro piacere di raccontare particolarità d'altri tempi e il sospetto di trovarmi davanti ad uno di quei pedanti antiquari che provano piacere nel rimpinzare di più o meno inutili nozioni l'ascoltatore fortuito mi ha assalito. Per fortuna, ho dovuto ricredermi non troppo oltre. Infatti con l'avanzare dell'azione gli sprazzi antiquari scemano e il senso di utilità del narrato rende merito alle curiosità che ci vengono raccontate.

Ma, devo ammetterlo, in cammino ho trovato colpe ben maggiori: il carattere dei personaggi. A volte risultano proprio insulsi. Non che non abbiano le loro motivazioni. Quelle ci sono e, raccontate in un riassunto, avrebbero anche un loro potenziale. Ma quando poi vengono sviluppate... beh... diciamo che si poteva fare meglio. Al pari dei loro caratteri sono i loro dialoghi. Non c'è un minimo di giudizio nello spiattellare verità che forse dovevano essere tenute nascoste almeno per un altro po', nell'attesa di trovare il climax giusto. E la risposta a queste rivelazioni non è mai consona alla loro portata.
Uno si chiede, ad esempio, che gli dice il cervello ad un uomo che, tornando dopo anni di assenza nella casa della donna e dell'uomo che lo hanno accolto e cresciuto come uno di famiglia, come prima cosa saluta la donna e le rivela che la ama senza nessuna sorta o quasi di preambolo. E lei? Che fa? Nulla. Davanti alla passione del tizio non si scompone minimamente. Anzi, quando anche il marito, amato e rispettato, entra in scena, lei è più serena e vaga che mai.

Allora, direte voi, cosa resta di bello del romanzo?

Resta san Benedetto, il vero soggetto di cui l'autore voleva parlare. Sì, perché nonostante l'accurata ricostruzione, le trame parallele dei personaggi più o meno storici, i racconti di guerra, ossia nonostante i due terzi del romanzo, è chiaro che l'unica cosa che stava a cuore a Louis de Wohl era raccontare la storia di san Benedetto. "Bella scoperta", direte voi, "C'è scritto pure in copertina!" E avete ragione, anche se poi, come ho detto, la parte dedicata veramente al santo è minore rispetto a quella dell'inquadramento storico e delle storie parallele.
E adesso ammettiamolo: Wohl è davvero bravo nel caratterizzare il personaggio di san Benedetto. Riesce così bene a trasmettere la purezza, la passione, la statura spirituale e morale dell'uomo che ha segnato la storia della Chiesa (e non solo) che si riescono persino a dimenticare tutti i difetti elencati più sopra.

Ecco, se si potesse modificare un pochino tutto il resto e lasciare solo san Benedetto intatto, così come Wohl lo ha raccontato, questa sarebbe una delle letture più coinvolgenti ed emozionanti (per non dire commoventi) in cui io mi sia mai imbattuta. Così come è adesso, la potrei definire una lettura a tratti piacevole, con molti spunti interessanti e informazioni riguardo a un periodo storico - e un santo - di cui poco si conosce.

De Wohl ha scritto di altri uomini di Dio e altri periodi. Chissà, magari prima o poi lo incontreremo di nuovo parlando di altra storia o altri santi. Anche perché dalle recensioni che ci sono in giro, molti sembrano considerare Citadel of God come una delle sue opere meno appassionanti. Vedremo...


2 commenti:

  1. Quei dettagli, che per me sono importanti, parlo di quelli del vino a tavola, vanno inseriti in modo naturale, se l'autore invece ne ha parlato a mo' di spiegazione, allora stona.

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    1. Sì, è proprio così. Ogni tanto Wohl tende a spiegare più che raccontare.
      Ma vabbe', ho trovato di peggio e forse per questo lo sto rivalutando... :D

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