venerdì 11 maggio 2018

Romanzi di guerra: L'Alfiere



Scrivendo di un periodo pieno di guerre come lo è il VI secolo, viene normale interrogarsi sulla guerra stessa e sentire il bisogno di documentarsi. Documentarsi sugli aspetti prettamente teorici, certo (tattiche, strategie, artiglieria, eccetera, eccetera), ma anche sulle persone, sui vissuti degli uomini, in senso materiale (come si viveva e moriva in guerra?), ma anche psicologico e morale.
Per questo l'anno scorso mi sono avvicinata a scrittori che parlavano di guerra, anche se non di guerra al modo antico. L'esperienza è stata molto istruttiva.
Due sono state le letture che mi hanno particolarmente affascinata, tanto da scriverci sopra un paio di post per il vecchio blog Anno Domini 500. Oggi vi ripropongo il primo.
Farcito delle mie beghe giornaliere, poco è lo spazio che dedico all'analisi del testo. Mi riprometto di far meglio la prossima volta, col prossimo romanzo dello stesso autore.

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In questo periodo di intenso lavorio mentale, ma anche fisico, mi ritrovo a guardare i libri che continuano a cicciare sui miei scaffali o sul mio lettore e mi chiedo quando mai avrò il tempo - o la voglia - di leggerli.
Pessima china, quella che la pigrizia mi induce a seguire.
Perché, se è vero che qualcuno suggerisce di non leggere durante il lavoro di prima stesura per non lasciarsi influenzare dallo stile altrui (Robert Masello, Robert's Rules of Writing, Rule 14), è anche vero che se limito le mie letture limito anche la mia scrittura: le idee scemano, le parole si appiattiscono e il testo non riesce a vestirsi delle sfumature che invece io tento di dargli.

E così, proprio nel mezzo della stesura di una nuova avventura del ragazzo dall'occhio cieco, il protagonista de Il sangue degli infanti, mi sono fermata un momento. Arenata, se vogliamo.

Conosco il soggetto, conosco i personaggi e la loro storia, ho già davanti agli occhi persino gran parte delle scene. Eppure, scrivendo, mi rendo conto che, ponendola in questa forma, con queste parole e queste immagini, sto mancando qualcosa.

Che sia giunto per me il primo "blocco dello scrittore"?
Come riscuotermi e superare la famigerata impasse?

Molti dicono "scrivi!". Ma io ho deciso di ignorare i molti e di dar retta al mio istinto che mi dice: "Leggi!"

Per questo, durante la scorsa settimana, ho cercato tra i miei libri sparsi qualche lettura che mi potesse stuzzicare, per tornare pian piano a leggere sul serio, possibilmente con gusto.

Tempo fa mi è stato consigliato Carlo Alianello, scrittore italiano morto nel 1981 che ha dato il via al revisionismo risorgimentale. Uno scrittore coraggioso, che durante il periodo fascista non ebbe paura di andare controcorrente e raccontare la storia del risorgimento italiano da un punto di vista scomodo: quello del regno di Napoli invaso dai garibaldini.

Mi sono ritrovata nel lettore il suo L'alfiere (1942) e ho iniziato a leggerlo senza entusiasmo, appassionandomi a ogni paragrafo sempre un pochino di più.

Sinossi (ripresa da Amazon):
Pino Lancia è alfiere nell’esercito delle Due Sicilie, “un giovanottone alto e quadro a cui l’uniforme turchina dei Cacciatori a piedi stava come un guanto”, un novellino che si ritrova nella battaglia di Calatafimi contro le camicie rosse. È il 1860 e la spedizione dei Mille squassa l’Italia. Liberale nell’animo, Pino servirà il suo re, Francesco II di Borbone, sino alla fine, a dispetto di ogni convenienza. Attraversando l’Italia in guerra in compagnia di un giovane francescano, mentre intorno a lui si dipana un’animatissima “commedia umana” di eroismo, amore e viltà, l’alfiere assiste alla caduta del regno e all’unificazione del paese sotto le insegne sabaude.
Impressioni? Una scrittura efficace. Antica, ottocentesca, forse perché erano quelli i modelli ancora vigenti al tempo in cui l'opera vede la luce, il tempo in cui la retorica fascista imperava anche quando la materia che descriveva era ben lontana dalla sua propaganda, come ho letto da qualche parte; o forse, per come mi sembra di intuire, perché lo scrittore voleva far eco alla materia e al sentimento del periodo risorgimentale di cui racconta.
Un buon contrappunto di descrizioni belle, se mi si scusa la banalità del termine, e analisi interiori dei personaggi sincere e commoventi.

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A distanza di mesi torno a ripensare a L'Alfiere con una visione più completa del romanzo. E devo ammettere che, nonostante i mille punti di riflessione e di forza, l'opera non manca di alcune debolezze.
Ad esempio, il rapporto tra la storia dell'alfiere Lancia e del giovane francescano: dalla sinossi di Amazon, il religioso sembra un cagnolino alle calcagna del protagonista. In verità il francescano è una specie di doppio dell'alfiere Lancia, anche lui alla ricerca di una sua strada che gli consenta di perseguire l'ideale.
Ed è significativo che, alla fine del romanzo, entrambi i protagonisti debbano fare i conti col fallimento di questi ideali.
Mentre l'alfiere Lancia deve rinunciare a un'illusione che si regge sui valori ormai superati incarnati dal regno borbonico in dissoluzione, il giovane francescano non può giustificare la crudeltà della guerra tra fratelli, per quanto l'ideale dell'unificazione non venga visto in sé come cattivo.
Il francescano parte dalla sua Sicilia con l'intenzione di incontrare Garibaldi e di fargli capire che l'unità auspicata non ha bisogno di carneficine. Ma naturalmente Garibaldi non lo incontrerà mai, e davanti al fallimento suo e della sua fede nel sentimento di fratellanza che dovrebbe essere il vero slancio dell'umanità in genere, il francescano non trova altra via d'uscita che sacrificarsi sulle barricate, in un atto quasi folle di protesta.
Alianello, nascosto tra le righe, sembra quasi dire: "è questo che spetta all'idealista: un'amara disillusione nel migliore dei casi, o una morte da invasato, se per caso cerca di ribellarsi". 

Nella volontà dello scrittore, questi due personaggi dalle storie parallele rappresentavano due facce della stessa medaglia. Eppure, finita la lettura, si ha l'impressione che la narrazione sia in qualche modo sbilanciata in favore dell'alfiere Lancia. E questo, almeno per me, lettrice fissata con gli equilibri, viene percepito come un'imperfezione.

Tuttavia, come ho detto, è un piacere leggere il lucido e onesto Alianello. Lui non parteggia per l'una o l'altra visione del mondo. Lui riporta senza veli i moti dell'animo dei protagonisti e, attraverso la loro parabola, mostra l'evoluzione di un'epoca.

Credo sia davvero un peccato che uno scrittore del genere sia quasi completamente ignorato. Ma si sa, a volte è scomodo parlare di argomenti che nascondono punti di vista diversi da quelli dominanti.



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