giovedì 14 novembre 2013

A caccia del Sublime




Edmund Burke, studio di Joshua Reynolds

I only desire one favor - that no part of this discourse may be judged of by itself, and independently of the rest.
"Chiederei solo un favore - che nessuna delle parti di questo discorso sia giudicata da sola, indipendentemente dal resto."
È questo che chiede Edmund Burke, nel suo A Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and the Beauty. E io l'ho accontentato, l'ho letto tutto. Perché?
Beh, ad un lettore un pochino più sperimentato sarà subito evidente da dove parto per arrivare dove. Per gli altri, non anticipo nulla.

Immagine da arantxaalcubierre
Vi dico solo che Edmund Burke scrisse questo trattatello filosofico nel 1756 e lo ampliò l'anno seguente.


Io, devo ammetterlo, sono abbastanza a digiuno di folosofia. Non l'ho mai studiata seriamente e le poche nozioni che ho sono piccole briciole raccolte qua e là. Spaventata un pochino dal titolo di trattatello filosofico, ho pensato bene di scaricarmi la versione italiana. Se non capisco niente di filosofia, figurati se ci capisco qualcosa di filosofia spiegata in un inglese del XVIII secolo!

Scaricata la versione elettronica di una delle biblioteche virtuali di cui mi servo di più (non ricordo se Project Gutenberg o Internet Archive), inizio a leggere l'introduzione e dopo nemmeno una pagina mi scontro con un paio di difficoltà.

La prima: la versione è piena di errori, lettere trascritte con altre lettere che c'entrano poco e niente, che quindi formano parole storpie e indecifrabili e che aumentano infine la difficoltà di comprensione.

La seconda: doveva essere la prima traduzione in italiano del trattato, una che almeno almeno risaliva alla fine del '700. Immaginate una lingua così arcaica da rendere ancora più oscuro il significato del pensiero che spiegava.


   
E. Burke, Introduzione




Siccome sono decisa a proseguire per questo sentiero, mi sono andata a  cercare l'originale, convinta che difficilmente poteva essere più complicato della versione italiana. Ed infatti, sin dalle prime righe, un raggio di sole  illumina le parole, il pensiero diviene chiaro e semplice: lo capisco! Capisco senza difficoltà persino il senso di quello che l'autore scrive!

Da qui una riflessione mi è venuta spontanea lì per lì: quanto la nostra lingua si è evoluta in due secoli e quanto l'inglese, invece, è rimasto immobile, quasi immutato?

Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, 1790.
Se non fossi presa da altri labirinti, mi potrei anche perdere nella storia della lingua dei nostri paesi, che poi è anche storia delle nazioni. Ma si andrebbe troppo lontano e si sconfinerebbe in altri reami. E siccome al momento traggo più diletto dal romanzesco che non dallo storico, abbandono questo sentiero appena accennato: non farò come quella sciocchina di Cappuccetto Rosso che si infila sotto le grinfie del lupo e continuo a testa bassa per la mia strada.


Cappuccetto Rosso e il Lupo, preso da qui

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