lunedì 3 febbraio 2014

Il posto dei fantasmi



Quando pensiamo ai racconti gotici, di solito ci viene in mente la tipica storia dell'orrore, quella popolata di fantasmi che tormentano i protagonisti indifesi. Una storia di case e castelli infestati in cui la trama gira e rigira sempre intorno allo spirito, al soprannaturale, etc, etc.

Castello infestato, via bureparkprimary

Ai tempi di Horace Walpole, tuttavia, i fantasmi non avevano lo stesso posto nell'immaginario collettivo che hanno al giorno d'oggi; se vogliamo avevano meno diritti e meno spazi, semplicemente perché c'era stato l'illuminismo che aveva bandito ogni forma di irrazionalità. Per questo, come ogni fenomeno che tendeva a sfidare la ragione, venivano semplicemente liquidati come puerili superstizioni.


Quando Walpole rispolvera il soprannaturale medievale e scrive la sua storia, sente naturalmente il
peso di questa condanna. Ed infatti, la trama non ruota intorno al fantasma, ma intorno alla vicenda complessa di personaggi cavallereschi a cui, di tanto in tanto, capita qualche evento sovrannaturale: un elmo gigante che cade dal cielo proprio sull'erede malaticcio, un dipinto che si anima, una spada talmente grande da dover essere trasportata da 100 uomini, etc. etc. Ma la storia, come dicevo, ha una sua logica complessa al di là dell'evento inspiegabile. Il soprannaturale è un accessorio ai fini del disvelamento di segreti altrimenti difficilmente svergognabili o un modo per scuotere la coscienza, un puro e semplice espediente narrativo.

Il fatto che questi elementi sovrannaturali fossero un po' difficili da digerire, ce lo dicono soprattutto i commenti che seguirono al romanzo. Alcuni, appena apparsa la seconda edizione in cui si spiegava la reale origine del racconto, si schierarono subito contro un simile tentativo. Altri lo apprezzarono con riserva. Tra questi ci sono Clara Reeve e Walter Scott.

Illustrazione da The castle of Otranto
Nel 1777, viene pubblicato il romanzo The old English Baron (Il vecchio barone inglese),  dichiaratamente opera gotica, ad opera di una certa Clara Reeve. Al giorno d'oggi non solo il suo romanzo, ma anche il suo nome sono sconosciuti. All'epoca, invece, la signora Clara Reeve aveva una certa reputazione. Basti pensare che fu lei la prima a proporre una storia del romanzo che partisse dal romance medievale e arrivasse fino al romanzo moderno. Insomma, una che ne capiva. E le era talmente piaciuta l'invenzione di Walpole che tenta di riprenderla e aggiustarne i piccoli difetti. Nasce così Il vecchio Barone Inglese.  

Illustrazione de The old english baron,
via acourseofsteadyreading
Nella sua introduzione, la Reeve loda i tratti del romanzo di Horace Walpole: l'inizio richiama l'attenzione, lo sviluppo è ben organizzato, i personaggi sono caratterizzati nella giusta misura, la scrittura è elegante e pulita...
MA...
C'è un MA grande come una casa che riguarda proprio la manifestazione del sovrannaturale. La signora Reeve spiega che vanno bene spiriti, vanno bene elementi fantastici, ma bisogna mantenerli nei limiti di una certa credibilità. Perché una spada talmente grande da dover essere trasportata da cento uomini fa un po' difficoltà, soprattutto se accompagnata da numerosi eventi simili che, invece di sostenere il pathos e l'attenzione, precipitano il climax complessivo fino a provocare una bella e robusta risata. Sì, immaginarsi un elmo talmente grande che cade in testa al primogenito che sta per sposare la donzella indifesa, fa un po' ridere in effetti. Ma, se devo essere sincera, anche l'espressione dei sentimenti dei personaggi della Reeve non è che lascia proprio imperturbabili, almeno al giorno d'oggi. Sempre a guardare il Cielo con le mani levate per ringraziare il Signore, si inginocchiano piangendo ai piedi dei nobili signori, servizievoli e devoti fino al ridicolo... ma questo é, espressione di un mondo cavalleresco visto attraverso un tre-quattro secoli di distanza.

Nel 1811, Il castello d'Otranto ebbe una nuova riedizione, una delle tante; ma questa è particolarmente interessante per l'introduzione di Walter Scott. In essa, W. Scott ribadisce ancora, come la Reeve, i punti di forza del romanzo, ma allo stesso tempo puntualizza meglio quali ne siano le mancanze: il sovrannaturale è troppo frequente, preme troppo monotonamente sulle sensazioni che vuole destare con il risultato di "diminuire l'elasticità della molla su cui dovrebbe operare". Perché al giorno d'oggi la mente è abituata alla ragione e sottolineare troppo il fantastico non fa altro che risvegliare questa razionalità e il senso comune, i più grandi nemici dell'effetto che si vuole produrre.
Mettiamoci anche che nel Castello d'Otranto tutto accade alla luce del giorno, mancano le ombre che spengono un pochino la razionalità, manca insomma il senso del terrore che favorisce la superstizione e siamo a cavallo. Troppi fantasmi. Troppo sovrannaturale gratuito.

Ma non è finita qui! Non bastano la Reeve e Walter Scott a ridimensionare le nostre apparizioni spettrali. Arriva anche la Radcliffe. Sì, la signora dei Misteri di Udolpho (1794). Lei, addirittura, si porta avanti e, sebbene non critichi apertamente l'operazione di Walpole, propone una nuova soluzione che concilia gli effetti che Il castello d'Otranto voleva suscitare con la razionalità da cui si fa fatica a staccarsi. Nasce così il romanzo che sembra parli di fantasmi e soprannaturale, ma che in verità non ha nulla di inspiegabile e di realmente spiritistico se non le atmosfere che ispirano quel terrore sublime che tanto divertiva nel romanzo gotico.

I fantasmi, come si vede, non hanno vita semplice all'inizio della loro carriera. Ci misero un po' per accaparrarsi completamente la scena. E nel mentre arrivarono a reclamare un loro posto anche altri strani tipi. Ma di questo parleremo nel prossimo post. 



Nessun commento:

Posta un commento