martedì 22 luglio 2014

Sulla Luna


Ludovico Ariosto, L'Orlando furioso, 1532.
  


Astolfo sulla luna, Gustavo Dorè.
Edizione francese del 1879..
Ripreso da roberto-crosio.net


E poi Astolfo arrivò sulla Luna.

Già. Prima di Verne, prima di Wells, prima di tutta la fantascienza, ci arrivò lui.
Non dico sia stato il primo in assoluto. Ci erano già arrivati i protagonisti de La storia vera di Luciano di Samosata (II secolo), anche se l'autore lo dice chiaro e tondo fin dall'inizio:
Scrivo dunque di cose che non ho vedute, né ho sapute da altri, che non sono e non potrebbero mai essere: e però i lettori non ne debbono credere niente.
Ben diverso dall'atteggiamento di Ariosto, che ci tiene a ricordare di tanto in tanto che tutto ciò che racconta è basato sul racconto di Turpino, testimone oculare dei fatti.

Immagine ripresa da divinacommedia.weebly
Altri due che arrivano sulla Luna prima di Astolfo sono Dante e Beatrice. In verità, la Luna, per loro, è solo una tappa nell'esplorazione dei cieli del Paradiso.

E poi ci arriva Astolfo che, per una fortuita serie di eventi, percorre anche lui un itinerario tra inferno e paradiso simile a quello del sommo poeta.
In breve: Astolfo offre i suoi servigi di paladino al re di Etiopia contro delle arpie fastidiose. Nell'inseguire queste amene creature che mangiano e lordano il pasto del povero re affamato, si ritrova per caso in una grotta da cui escono gemiti e pianti: chiaro segno che si tratta della bocca dell'inferno. Incuriosito, ci fa un giretto, incontra coloro che sono stati sgradevoli e ingrati nei confronti del loro fedele amante e per questo sono stati gettati laggiù. Astolfo non ci si sofferma troppo. Troppo fumoso. Esce da lì e, salito in groppa all'ippogrifo suo destriero alato, raggiunge la cima del monte che sovrasta la grotta e che si crede non essere lontana dal cielo della Luna. Qui trova un palazzo che supera in bellezza le sette meraviglie e incontra san Giovanni. Evidentemente siamo alle porte del Paradiso. Il santo rivela ad Astolfo che Orlando è pazzo, punito per la sua follia amorosa, ma che adesso è l'ora di ridargli la ragione perché bisogna che si dia da fare contro i Mori. Lui, Astolfo, è stato designato dal Signore per andare a prendere il senno smarrito del paladino furioso. E dove sta questo senno? Naturalmente sulla Luna, insieme a tutte le cose perse dall'uomo.
 
Su wikipedia ho trovato che Astolfo arriva sulla luna con il suo ippogrifo. In verità, è san Giovanni che gli offre un passaggio sul suo carro, lo stesso che aveva portato sant'Elia in cielo. Proprio come nel Paradiso di Dante, gli eroi passano la sfera del fuoco senza problemi e si ritrovano in un mondo molto simile alla nostra Terra. Ci sono mari e campi e castelli e montagne e valli in cui si depositano le cose che gli uomini della terra perdono nella loro vita. No, non portafogli o cose del genere, ma desideri infruttuosi, preghiere, promesse, sospiri di amanti e anche il loro senno, raccolto in piccole ampolle. Prima di tutto, Astolfo raccoglie il suo e se lo sniffa, vivendo poi da uomo saggio per il resto della sua vita (che non sia stato proprio un campione di prudenza lo dimostra la storiaccia con Alcina, la perfida maga che seduceva e abbandonava bei giovinetti tramutandoli in sassi e alberi parlanti). Astolfo rinsavito non dimentica la missione: prende l'ampolla di Orlando e la conserva gelosamente, anche se, per rispetto all'onorevole guida, non corre subito a consegnargliela, ma si concede un po' di tempo per continuare l'escursione sulla Luna. E cosa ci trova? Le Parche che intessono le vite, il Tempo che ruba la gloria.

Dopo essermi dilungata in un riassunto che non avevo troppa intenzione di infilarci, mi viene spontaneo, ora, sottolineare ancora una volta l'ampia varietà di tradizioni che saltano fuori persino in un brano di materia così prettamente religiosa: c'è il riferimento ai grandi sistemi universali di Dante, alla sua Commedia, ai santi e al Signore. Ma c'è anche una continua interferenza del mondo mitico classico: accanto a san Giovanni che trascina Astolfo sul carro di Elia, ci sono le Parche, le Arpie, protagonisti leggendari greci e chi più ne ha più ne metta. E, come al solito, tutti convivono senza problema, tutti comunicano con naturalezza, come se il mondo fosse alla fine un vasto luogo in cui tutti i giri di fantasia (perdonate la blasfemia di una simile affermazione) che il mondo occidentale ha nutrito nel corso dei secoli abbiano uguale diritto. A ben guardare, quella che Ariosto compila sembra quasi un'enciclopedia del fantastico, un'opera che raccoglie fantasie e fantasticherie del meraviglioso di ogni tempo, per conciliarle in un mondo parallelo, con le sue regole e leggi. Certo, mettere sullo stesso piano la tradizione cristiana e quella pagana, in qualche modo, equivale a farle cadere allo stesso livello, facendole diventare entrambe delle favolette, ma siccome questa era probabilmente la moda del tempo (e siccome non sono molto ferrata sull'argomento), non mi addentro oltre in tali speculazioni.
Immagine da deviantart.net

Non sarà una sorpresa, per il lettore, sapere che Orlando riacquista la ragione, che i cristiani vincono sui Mori, che Bradamante sposa Ruggero e tutti vissero felici e contenti. Almeno per un po'.

Ma lasciamoli godere il loro meritato riposo.
Senza disturbarli troppo, togliamoci di mezzo per entrare in altri ambienti, altre corti meno mitologiche, ma non meno mitiche.




2 commenti:

  1. Comunque, alla fine, mi hai convinto a leggermi finalmente l'Orlando furioso, visto che l'ho comprato anni fa e neanche me lo ricordavo :)

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    1. Ehm...
      No, non ti sto dando una sòla, ma armati di tempo e pazienza, che ce ne vuole... :DDD

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