martedì 16 ottobre 2018

Les Mohicans de Paris di Alexandre Dumas: Reading in Progress (o una specie)

Guys Constantin Ernest Adolphe Hyacinthe (1802-1892), Court Reception

Chi mi conosce da un po' penserà a ragione: "Ma questa è proprio fissata, con Dumas!"

Ok, lo ammetto: ultimamente sono tornata a occuparmi di Dumas e dei suoi lavori per una ragione precisa. Per chi mi legge da un po', ormai è noto che ho spostato il mio campo di ricerche storiche dal primo medioevo all'800.
Il senso di questo tornare a studiare dovrebbe essere chiaro: tra le mani ho una nuova storia da raccontare. E siccome l'ambiente familiare a Dumas c'entra molto più di quel che per ora sono pronta a raccontarvi, eccomi qui a indagare sulla società in cui i miei personaggi si muoveranno: la Parigi dei primi decenni dell'800. E quale romanzo migliore di Les Mohicans de Paris dello stesso Dumas per approfondire le mie future atmosfere?

Pubblicato in forma di feuilletton tra il 1854 e il 1859, la trama, ancora una volta, dice:

Dumas mette in scena la sua commedia umana nella Parigi di una generazione romantica e della restaurazione. I Moicani sono tutti i diseredati dalla fortuna cche tentano di conquistare la libertà, la gloria e la felicità ai margini di una città che si consacra all'ambizione del potere e del denaro. Le loro vite si intrecciano intorno alla figura di un corriere, Salvator che, contrapposto a M. Jackal, capo di polizia, prepara la rivoluzione del 1830 alla testa della Carboneria.
Preso da babelio

Secondo le parole dello stesso Dumas, il suo intento è prima di tutto raccontare alle generazioni moderne e future quello che la Parigi degli ultimi anni della Restaurazione era da un punto di vista fisico, con i suoi quartieri e la sua variegata popolazione, e da un punto di vista morale. Ed è proprio questo che lo scrittore fa fin dal principio: narra per filo e per segno la vita minuta degli abitanti di un faubourg in particolare, quello di Saint-Jacques, il più povero degli allora dodici arrondissement della capitale. 

In questi luoghi si raccolgono i più umili, è vero, ma anche i più coraggiosi, i bisfrattati, coloro che si ribellano non solo alle congiunzioni politiche meno liberali, ma anche a quelle morali, a quelle del caso, e soprattutto agli onnipotenti gesuiti. O almeno è a loro che il buon Dumas attribuisce la causa di tutti i mali. 

In questa trama un po' vaga si profilano una sfilza di personaggi variegati. Dumas più volte afferma che Salvator, il commissionario che dà il titolo al romanzo, incarna il personaggio principale, ma la verità è che ancora alla fine del secondo volume conosciamo di lui solo le qualità morali di cui tutti, ma proprio tutti, lodano la bontà, e intuiamo che in una vita precedente sia stato vittima di gravi ingiustizie. Dobbiamo arrivare al terzo volume per venire a conoscenza della sua appartenenza alla carboneria. 

Allo stesso tempo, almeno fino al terzo volume, assistiamo per lo più ai drammi di diverse coppie d'amanti o alla presentazione di creature cadute in disgrazia a causa di prepotenti e scellerati. Tutti questi personaggi si rincorrono e si disvelano in mille modi diversi e mai lineari. Dumas si diverte a rompere il filo narrativo e a ricucirlo insieme in una struttura elastica e flessibile. Ed è questo che mi ha tenuta legata alla lettura, nonostante le descrizioni a volte davvero pesanti, o la banalità di certi clichet amorosi. Come abbia fatto, Monsieur Dumas, a ricollegare tutto in corso d'opera, visto che quest'opera è uscita a puntate nell'arco di cinque anni, questa è la meraviglia del suo lavoro. 
Vediamo un personaggio comparire all'inizio e poi scomparire, per poi riapparire altrove, lontano, come un raro filo d'orato che si intreccia alla trama tra una storia e l'altra, e non perde il suo fascino, ma lo acquista, esaltato dalle altre trame apparentemente slegate. E i personaggi, i fili d'oro e d'argento, si incastrano e si legano fino a risolversi in un "non dimentichiamoci di questo nostro eroe!", in un disegno in divenire di cui a volte si intuisce l'evoluzione, altre stupisce con le sue trovate romantiche.

L'opera, naturalmente, non è minimamente paragonabile ai capolavori Il conte di Montecristo, o I tre moschettieri, eppure, per una giovane scrittrice ci sarebbe molto su cui riflettere. 
E non solo dal punto di vista strettamente narrativo.

L'affresco della società parigina dell'epoca, per quanto inquinato dalle ideologie di Dumas, risulta parecchio interessante, come anche la descrizione dei luoghi, che molto spesso sono irriconoscibili da quelli della Parigi moderna.
Ma questo forse interessa più una patita di storia come me, che non il lettore comune.
Naturalmente coi Moicani di Parigi non abbiamo mica finito. 
Del resto, dovrò pure prendere tempo per leggere i ben sei volumi da 800 pagine l'uno dell'opera!


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