Io odio la pubblicità. Raramente diventa arte. La maggior parte del tempo cerca di abbindolare e di circuire spudoratamente, senza remore.
Esempio di pubblicità insulsa, Pinterest |
Parlo anche di tutta quella serie di blog di presunti scrittori che imbrattano pagine e pagine solo per sponsorizzare il proprio libro. Per questo, anche se mi capita di imbattermi in blogger che danno realmente un contributo alle mie conoscenze e, soprattutto, che mi divertono (e a dir la verità non è che quest'ultima evenienza capiti spesso), non corro subito a leggere il loro ultimo capolavoro, ma li guardo con sospetto per un po', li osservo parlare, muoversi nella rete; li spio, insomma. E solo dopo essermi convinta che di loro mi posso fidare, vuoi per come scrivono, vuoi per le idee che saltano fuori di tanto in tanto, solo allora mi azzardo ad acquistarli.
Ma non capite male, non è disprezzo a priori per le matricole! Diciamo che è disprezzo per l'uso che si fa del blog: mera uscita pubblicitaria. E io che magari lo seguo, mi sento un po' tirata come l'acqua al mulino solo per diventare un acquirente di fiction di non precisato livello.
Tuttavia, se da una parte odio i blog pubblicitari, dall'altra amo gli esperimenti letterari. Mi piace scoprire le possibilità dei generi, gli intrecci ibridi e le sorprese. Naturalmente se fatte con criterio.
Questo sia detto per giustificare la lettura di questa piccola opera dal titolo bizzarro: L'itala Giuditta. Opera SteamPunk in cinque atti di Chiara Prezzavento. Proprio lei, quella che vedete nella lista dei blog che seguo.
Ok, il titolo (L'Itala Giuditta) non mi ha mai fatto fare i salti di entusiasmo. Il risorgimento italiano, argomento a cui il titolo fa eco, ecco... diciamo che non è affatto il periodo storico che mi appassiona di più. Poi c'è quel riferimento allo Steampunk, soggetto che guarda caso sto iniziando a corteggiare. E quel "Opera in 5 atti", che come minimo fa riferimento al teatro o, con più pertinenza, all'opera.
Ricapitoliamo: Risorgimento, Steampunk, Opera.
Giuditta Pasta, tratta da Wikipedia. |
Un racconto lungo costruito in cinque atti come fosse un'opera lirica, narrato in prima persona da Giuditta Pasta, una protagonista del bel canto dell'800 in pensione (diva delle scene realmente esistita) che si getta a capofitto nei moti rivoluzionari di un passato parallelo, dominato da congegni e diavolerie a vapore. Da far notare anche che non solo la protagonista si atteggia ad eroina da palcoscenico, ma parla anche come quelle, nell'italiano dei libretti ottocenteschi, ed ecco che la panoramica dell'esperimento è chiara.
La Clarina racconta bene. Padroneggia bene il linguaggio del secolo scorso-scorso (leggi: '800) e, nonostante qualcuno dica che questo uso rallenti la lettura, io, invece, mi permetto di dire che il suo linguaggio librettistico, in bocca alla Giuditta Pasta, ne esce alleggerito, fino a diventare piacevolmente ornamentale. L'atmosfera deliziosamente retrò affascina, ci si immerge completamente in un mondo in cui di tanto in tanto svolazzano vaghi marchingegni fantastici che in fondo non danno troppo fastidio; fino a quando questi non si appropriano della scena e allora da una atmosfera squisitamente romantica si passa a quella fantasticamente steampunk. Il lettore che si era accoccolato nella piacevole caratterizzazione dei bei tempi che furono, cioè io, si ritrova catapultato all'improvviso in uno scenario nuovo in cui la dama che si immaginava rivoluzionaria diventa davvero una scapestrata ladra di macchine volanti, nonostante la pinguedine e l'età. Ed allora, un po' col rimpianto di veder cambiare tenore alla storia, ma anche con la curiosità di vedere dove si va a finire, ecco che quel lettore, ossia sempre io, si ritrova diviso tra due sentimenti contrastanti e il dubbio seguente: quanto numeroso sarà il pubblico che saprà apprezzare l'audacia di quest'opera?
Forse pochi altri insieme a me, gente che non si lascia spaventare da accostamenti improbabili di primedonne operettisticamente risorgimentali e fantasiosi svolgimenti steampunk alla Il castello errante di Howl.
In ogni caso, poco ci importa di tutti i lettori mancati. A me ha divertito seguire la traiettoria di questo ibrido italiano, prodotto di sperimentazioni a vari livelli. Ed anche se devo ammettere per onestà che la storia in sé non è poi così ricca di grandi colpi di scena (ma del resto credo sia anche un po' colpa della struttura, dei tempi che non lasciano grandi margini all'estro creativo), posso dire che ho apprezzato l'esperimento.
E se la Clarina si ritroverà la sua opera scaricata da un paio, forse tre lettori in un sol colpo, non ditele che è stato per colpa mia! ; D
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