Mentre farneticavo liberamente su Hawthorne e Poe e ammiravo estasiata il bellissimo titolo della raccolta del primo (Twice-Told Tales), mi sono meravigliata di come io abbia potuto sorvolare sul titolo a dir poco particolare di quella del secondo. Dovrebbe essere la prima cosa da fare, non trovate? Indagare sul significato che un titolo dona all'opera a lui associata. E allora, anche se in ritardo, mi sono detta che forse una piccola diversione vale la pena farla.
Foto di Nathan Schmidt |
Sì, perché se vogliamo essere pignoli, il grottesco, che secondo l'enciclopedia Treccani on line si riferisce a ciò che, a causa di una goffagine o di un paradosso o di una bizzarra deformità, "muove il riso pur senza rallegrare", non è qualcosa che spaventa davvero e, tanto meno, terrorizza.
E quell'arabesco?
Anche questo, riferito di solito a quella sorta di composizione ornamentale dalle forme geometriche e ripetitivamente minuziose, non sembra incutere raccapriccio, a dispetto delle linee spezzate che Burke avrebbe dichiararo sublimi. Se poi sentiamo la spiegazione di Poe, quella che ci dona nella sua prefazione, questo "Grottesco e Arabesco indicano con sufficiente precisione il tenore prevalente". E questo, a suo parere, basterebbe a caratterizzare i suoi racconti.
D'accordo, c'è da dire che all'epoca era in voga lo stile decorativo chiamato grottesco - arabesco. E per questo, come dice Patricia C. Smith nello studio sull'arabesco di Poe, la definizione, seppur vaga, aveva un senso più compiuto rispetto al senso che possiamo attribuirgli ai giorni nostri. E di solito si associava a quello stile decorativo che prendeva ad esempio le grotte romane e, in particolare, i ritrovamenti di Pompei, pieni di dipinti ad ispirazione fantastica di esseri ibridi e polimorfi.
A questo punto, uno se lo chiede: opere come Il gatto nero, Il barile di Amontillado, Il pozzo e il Pendolo, possono essere definite col termine "grottesco" o "arabesco"?
Nouvelle collection d'arabesques, 1810. Ripresa da Peacay su Flickr. |
Se, infatti, si va a leggere il contenuto della raccolta, compaiono, è vero, racconti gotici o simili (The tale of the house of Usher, ad esempio) e ce ne sono altri che, invece, non hanno proprio nulla di gotico. Un esempio?
The unparelelled adventure of one Hans Pfaall.
Eggià, è a lui che volevo arrivare, Hans Pfaall: il racconto del primo uomo sulla luna.
Se non avete presente di cosa io stia parlando, in breve questa è la storia: un certo Hans Pfaall, per sfuggire a debiti e cose del genere, si mette in testa che, con qualche buon calcolo e un po' di ingegneria spiccia, si potrebbe pure tentare un viaggio su un pallone. Destinazione: luna. Il racconto lungo è il resoconto di questa impresa compiuta con spirito scientifico puro e semplice.
Non è che Poe sia stato il primo ad immaginare l'uomo sulla luna, sia ben chiaro. Da Ariosto a Keplero, a chissà quanti prima di loro e quanti dopo fino a Poe, molti hanno visto l'uomo imbarcarsi in qualche strano mezzo di trasporto e arrivare laddove nessuno era ancora mai arrivato: la luna.
Fritz Eichenberg. The Unparalleled Adventure of One Hans PFAALL. Incisione su legno, 1944. |
Ve lo avevo detto che Poe era un tipo piuttosto precisino, fissato con l'enigmistica, parecchio razionale e matematico, no? Ecco, in questo suo racconto escono tutte queste sfaccettature, oltre al burlone, s'intende.
Altri, dopo di lui, però, lo hanno preso molto sul serio e si sono detti: e se...
Da quel "e se..." siamo arrivati a cose fantascientifiche. Possiamo, noi, far finta che non sia successo nulla? Certo che no, sarebbe come negare una vastissima produzione di romanzi che hanno dilettato il secolo scorso con mille storie, a volte geniali, a volte insulse, ma pur sempre godibili. Per questo mi sento trasportata verso mondi a me sconosciuti: seguendo quel pallone di quel certo Hans Pfaall, chissà dove riusciremo ad arrivare.
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