martedì 4 marzo 2014

Reading in progress: Il ritratto di Dorian Gray



Ora non rimproveratemi, non mi sono impigrita. Continuo a leggere come posso e già ho accumulato un po' di volumetti, anche se a dire il vero non ho avuto molto tempo per scriverci su qualcosa.
Il fatto è che, siccome vorrei dare una parvenza di organicità ai vari discorsi che ho in mente, e siccome ho questo piccolo scoglietto da superare che è The picture of Dorian Gray (1890), pensavo di concedermi un po' di tempo ed esplorarlo con calma. Insieme, naturalmente.

Ed ecco tornare le Reading in progress. Ometto "tanto attese", perché non ho la più pallida idea se siano state gradite o meno le prime, quelle su I misteri di Udolpho. :D

Immagine ripresa da Pinterest

Per tornare a Il ritratto di Dorian Gray, vi dirò che naturalmente l'ho già letto in altri tempi. Due volte, per l'esattezza. Ma devo averci perso troppo poco tempo, perché molte cose che adesso, ad una lettura più attenta, trovo complicate, allora non mi sembravano affatto meritevoli di rallentamenti e cogitazioni.

Una delle tante cose che mi ha dato un po' di pena, la prima in assoluto: la prefazione.

Appare così, senza introduzioni o gentili presentazioni. E cosa ci troviamo? Tutta una serie di aforismi, uno accostato all'altro, piccole verità alla Oscar Wilde che girano intorno all'artista, all'opera d'arte e al lettore-critico. Naturalmente è l'esteta Wilde che parla. Basterebbe citare l'ultima frase, quella scritta in neretto prima della firma, per farci capire la sua filosofia:

All art is quite useless.

Tutto ciò che è arte è del tutto inutile, nel senso che non ha un uso pratico, un senso altro se non quello di essere lì a lasciarsi "godere".
Niente morale, niente etica o fini didattici, ma solo rappresenstazione di un Bello ideale, unica essenza capace di appagare i sensi, questi tiranni signori.

Oscar Wilde, ripreso da mlquotes.com
Alla base di tutto, quindi, c'è il Bello, valore assoluto non solo chiamato ad essere il soggetto dell'opera d'arte, ma destinato a diventare anche il modello a cui la vita si rifà.

Aspetta, aspetta, detto così non è che si capisca granché. Non si dice sempre che dovrebbe essere la vita a fare da modello all'arte? No, gli esteti dicono di no. Questi eccentrici signori non avevano in simpatia la scialba e cruda Natura e tanto meno la Vita realisticamente approcciata e osservata. Dov'era il Bello in simili rappresentazioni? Soffocato da tonnellate di effetti realisticamente squallidi e disordinati.
E allora, compito dell'arte non era solo distanziarsi da questa Vita priva di poesia, ma creare un modello che potesse aggiustare i difetti della Natura, ma anche costituire un esempio che la Vita stessa doveva imitare.
Ne esce fuori un ideale del Bello che non ha bisogno di altri scopi sotterranei per esistere, che basta a se stesso.

Those who go beneath the surface do so at their peril.
Coloro che vanno sotto la superficie, lo fanno a loro rischio e pericolo.

Ci dice Wilde, quasi fossimo davanti alla porta infernale di Dante. E ce lo dice dopo averci avvertito che l'artista prende la materia della sua arte un po' dove capita, senza badare a convenzioni morali o etiche. Vizio, virtù, tutto fa brodo, perché lo scopo non è l'insegnamento che se ne ricava, ma l'effetto che si produce.

Questo è l'ideale a cui Oscar Wilde si vota. Come pensare che, con una simile prefazione, Il ritratto di Dorian Gray non sia costruito intorno a questo credo?

Altro che diritti dell'omosessualità o polemica contro la società omofoba. Qui c'è molto di più. Ma con calma. Del resto, stiamo ancora alla prefazione. 


Preso da Pinterest


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