sabato 8 marzo 2014

Le tre facce di Wilde



Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1890.

 

Atelier Quici DA., Three Faces ( Tre Facce)
Pittura, Astratto geometrico, Olio, Tela, 2011
Tre Facce, la buona,la cattiva e la maligna
Basil Hallward - Lord Henry Wotton - Dorian Gray. Stesse facce di un unico essere: Oscar Wilde. E non solo perchè l'autore, in una delle sue ultime lettere (Letters 352), dichiara:

"Basil Hallward is what I think I am; Lord Henry what the world thinks me; Dorian what I would like to be."
"Basil Hallward è ciò che penso di essere; Lord Wotton quello che il mondo pensa che io sia; Dorian ciò che mi piacerebbe essere."

A dire il vero, il triangolo pericoloso mi sembra più complesso di quello che da queste poche parole si deduce.

Inizierei con Basil Hallward, l'artista. Lui rappresenta il genio che riconosce il Bello nel ragazzo nel fior fiore della giovinezza, non ancora corrotto dalla Vita. Questo ideale di Bellezza lo ispira, cambia la sua visione artistica, ne condiziona indirettamente ogni opera. Il ragazzo, inconsapevole dell'influsso che ha sull'artista, diviene la sua musa ispiratrice fino a quando Basil realizza la sua massima opera, il famoso ritratto. Singolare che esso ritragga il giovane proprio nel momento in cui le parole dell'altro personaggio, Lord Wotton, lavorano sulla sua immaginazione e gli mostrano ciò che potrebbe accadere, rispettando il dovere morale di sviluppare il proprio essere secondo un'idea edonistica.

Poi arriva Lord Henry Wotton , anche lui un artista a suo modo. Ma lui non riproduce il Bello in opere d'arte. Lui lavora sulla psicologia del ragazzo, lo vede come uno strumento musicale che risponde magnificamente ad ogni colpo che le sue parole gli indirizzano. Lo forgia, lo modella, lo usa in una sorta di esperimento che non ha altro scopo se non quello di creare il perfetto esteta, il perfetto edonista.

E poi c'è Dorian Gray, la doppia opera d'arte. Da una parte l'opera d'arte che ritrae il Bello assoluto, la giovinezza incorrotta: il ritratto. Dall'altra l'esteta estremo, che attraverso le sensazioni sperimenta il Bello nell'attimo e lo realizza nella sua esistenza, senza pregiudizi, senza rimorsi. L'opera d'arte vivente.

Il rapporto tra le due realizzazioni del Bello, quella nell'arte e quella nella Vita, hanno una strana corrispondenza. Non solo perché Dorian Gray comprende il reale potere della sua giovane bellezza ammirandosi per la prima volta nel quadro; non solo perché grazie alla preghiera del giovane, il loro destino si rovescia, ma anche per lo strano legame psicologico che si instaura tra l'essere che vive di sensi e il dipinto che subisce l'usura di una tale vita.
 

Scena del film Dorian Gray, 2009.
Ed è buffo che quando per la prima volta Dorian Gray vede sul dipinto i segni della sua corruzione, si dispiaccia perché un simile capolavoro debba essere rovinato in quel modo. Anzi, si dice che quasi quasi sarebbe persino pronto ad invertire la preghiera, affinché  l'opera non venga rovinata.
Ok, dura due secondi, ma l'idea dell'opera perfetta corrotta lo cruccia. Almeno fino a quando non si rende conto che su di essa e attraverso i suoi cambiamenti potrà studiare i suoi stessi moti d'animo. Potrà analizzare l'opera d'arte che è lui stesso nel suo divenire.

A questo punto Dorian Gray ha piena consapevolezza di quello che è e Lord Wotton, colui che lo ha ispirato, non partecipa più alla sua realizzazione. Non ha più bisogno di mentori. Dorian Gray è libero di auto-forgiarsi.

Secondo me era questo che Wilde voleva dire quando diceva di voler essere Dorian Gray: non tanto che voleva vivere come lui, una vita dissoluta e coraggiosamente anti convenzionale (e qui gran parte degli impiastricciatori di blog letterari ammiccano alla sua omosessualità), ma che voleva poter sviluppare in lui il prototipo dell'esteta, dell'edonista, del Bello che fa da modello alla Vita reale. Divenire lui stesso un'opera d'arte vivente.

Dalla fine che fa Dorian Gray, e forse anche dall'esperienza di vita dello scrittore, uno potrebbe ricavarne la morale: la vita dei sensi non paga. Ma come lui stesso dice nella prefazione, il lettore che cerca un significato nell'opera d'arte lo fa a proprio rischio. Siccome non mi va di correre il rischio di venire a far parte degli impiastricciatori di blog dalle interpretazioni traverse, inchino il capo al volere dell'artista e taccio. ; )

Egon Schiele, Autoritratto con testa china,
Studio per Eremiten (L'eremita), 1912.

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