martedì 11 settembre 2018

La forma dell'acqua


Alessandra Cavallari
Dopo Fred Vargas e i suoi cerchi di gesso, sulla scia dei detective latini, mi sono dedicata alla lettura di un autore nostrano, Andrea Camilleri, e del suo La forma dell'acqua.

Era da molto tempo che mi ripromettevo di leggere qualcosa di Camilleri e finalmente ce l'abbiamo fatta!

La trama in sé non mi ha detto un granché:
Un esponente politico locale viene trovato morto in abiti discinti in una macchina parcheggiata tra gli arbusti di una spiaggia nota per il traffico di sesso. Subito si capisce che la morte è sopravvenuta per cause naturali - attacco di cuore - a seguito di un rapporto clandestino. Eppure, non tutto quadra per il commissario Montalbano.

Nonostante le mie reticenze, non posso dire di non aver apprezzato l'opera nel suo insieme.

Ci sono, in effetti, delle cose che rendono lo stile narrativo di Camilleri particolare.

La prima riguarda il modo di descrivere l'ambiente in cui il commissario Montalbano si muove.
La Sicilia di Camilleri non è un luogo come tanti altri. Il crimine è la quotidianità, la normalità, e tutti, persino i poliziotti, convivono più o meno pacificamente con questo dato di fatto. Per evitare incidenti stradali con la volante, ad esempio, bisogna controllare le ruote un giorno sì e un giorno no, perchè si sa che le bucano e che non si riuscirà mai a impedire questa fatalità. Allo stesso tempo, quando la volante sbanda per strada e il poliziotto si ritrova in ospedale, Montalbano non se la prende con i delinquenti che hanno bucato la ruota, ma con il poliziotto che non le ha controllate come di rito.

Attraverso tutta una serie di crimini secondari di cui il commissario prende solo atto, si delinea il paese in cui si svolge l'indagine. Come in una partita di ping pong, il crimine camorristico vede le famiglie contrapposte rimbalzarsi il morto: l'altra settimana è stato fatto fuori uno di questa famiglia, questa settimana il morto che troviamo apparterrà alla famiglia rivale, mentre dall'altra parte il crimine d'onore vede un settantenne sparare sulla folla di un bar per colpire il presunto amante della moglie sua coetanea, per poi concludere la vendetta freddando lei e suicidandosi. Una descrizione perfetta delle leggi morali di una società che coesiste con quella legale.

Col crimine e il criminale tutti convivono serenamente a braccetto, senza scandalo, persino il commissario. Ha una signora in casa che gli fa le pulizie e gli prepara il pranzo. La signora è la madre di due pregiudicati, uno dei quali è stato arrestato dallo stesso commissario.
La ragazza di Montalbano, genovese, teme questa stretta convivenza: e se la madre del galeotto lo avvelenasse? Lei non capisce le logiche della comunità di Montalbano, è come una straniera a cui è inutile cercare di spiegare le regole del gioco.

L'assuefazione alla realtà locale e la convivenza fin troppo stretta con la criminalità agisce inevitabilmente anche sulla struttura mentale del poliziotto incorruttibile.
Così risulta decisamente accettabile la manipolazione di prove, il depistaggio delle indagini, il produrre soluzioni al caso falsate, ma che sia fatto solo ed esclusivamente per proteggere le vittime. Che poi capiti che le vittime siano anche i colpevoli, questi sono dettagli su cui il commissario non si arrovella più di tanto, e questo perché Montalbano, probo esecutore della legge, e anche un po' criminale a suo modo, non agisce secondo la fredda logica dello stato, ma secondo quella di una giustizia più umana.
Con questo non voglio dire che i colpevoli, alla fine della storia, non vengano puniti. Diciamo che il nostro detective non infierisce e lascia loro la propria dignità, valore che nella Sicilia di Montalbano conta più della vita stessa.

Mi è piaciuto, allora, Camilleri?
Mi è piaciuto il suo commissario, senza dubbio. Un commissario molto umano, molto nostrano, per cui è difficile non provare simpatia.



2 commenti:

  1. Letto tempo fa, ma non lo ricordo per niente, come gran parte dei romanzi di Camilleri.

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