venerdì 2 novembre 2018

Racconto: La processione


Danza macabra - Clusone

Un racconto ispirato non tanto ad Halloween, ma alla festa dei morti e ai racconti della mia infanzia.

La processione

 

Il crepuscolo calava in fretta sulla stradina di pietra e mattoni e noi bambini, impauriti dalle ombre, ci stringevamo sempre più vicini al circolo delle donne. Le comari sedevano con le vicine sulle sedie impagliate, curve a confabulare sui loro merletti all’uncinetto. Mia madre ci scorse da sotto gli occhiali, ma noi facemmo finta di giocare ai nostri giochi e lei, distratta dall’inizio di un nuovo racconto, si dimenticò di cacciarci via.
“Nel mio paese, la mattina presto, si va al cimitero e si porta ai morti da bere e da mangiare. Il giorno prima si lasciano le scarpette sulle tombe dei bambini, quelle piccole, perché tutti sanno che durante la notte loro si svegliano e tornano alle loro case, a salutare i padri e le madri, e non sta bene che camminino scalzi”.

Un brivido quasi visibile attraversò il cerchio delle donne. Qualcuna si girò verso noi bambini con un’aria insolitamente materna. Forse ci immaginavano nudi e scalzi sulla via col brecciolino e i sassi maltagliati, davanti alle inferriate del cimitero. O forse sospiravano di sollievo, perché non avevano bisogno di preparare scarpette per il giorno dei morti.

“E allora senti questa!”
La comare allungò una mano sul lavoro all’uncinetto di mia madre, come a zittirla, anche se non ce n’era bisogno. Mia madre, in risposta, sollevò gli occhi dal suo filo. Il rumore di sedie trascinate sul pavimento di pietra per farsi un po’ più vicine e il silenzio religioso delle donne intonarono una perfetta ouverture sullo sfondo delle ombre del borgo.
Io smisi di contare le mie biglie, l’orecchio teso, ma senza darlo a vedere. Non avevo bisogno di guardare la comare in faccia per immaginarla con gli occhi sprofondati nei lineamenti grassocci, strabuzzati all’inverosimile, quasi non credessero nemmeno loro alla cosa incredibile, straordinaria, terribile che presto avremmo ascoltato.

“Mia sorella, tanti e tanti anni fa, si era appena sposata e si era trasferita col marito in un villaggio poco lontano da ---. Come tutti sanno, mia sorella è sempre stata devota. Fin da piccola la chiamavamo la suora e prima di incontrare suo marito era lì che voleva finire, in convento”. La comare si interruppe, dondolò il suo grosso di dietro sulla sedia scricchiolante, si mise più comoda e ricominciò: “La notte prima dei morti di quell’inverno dopo le nozze faceva un gran freddo. Il marito era fuori, non so per quale commercio. Sarebbe rientrato la mattina dopo, ma lei esitava ad andare a letto. Ancora oggi, se glielo chiedi, dice che sentiva i morti camminarle sulla testa. Allora, per farsi coraggio, rimase fino a tardi davanti al camino, a fare la maglia per il bambino che presto sarebbe nato e a scaldarsi i piedi. D’un tratto una specie di nenia delle comari la riscosse, e solo allora si accorse di essersi appisolata. Andò alla finestra, scostò le tendine e vide una lunga processione passare proprio davanti a casa sua. Ogni donna e ogni uomo e ogni bambino, vestiti a festa, sfilavano lenti e intonavano le canzoni alla Madonna e a Gesù risorto. Mia sorella, affascinata dalla luce calda che li avvolgeva e che faceva dimenticare il freddo di novembre, volle chiedere a quei paesani da quale chiesa venissero, dove andassero, perché non aveva mai visto gente così pia e bella nella chiesa di suo marito. Sentì d’un tratto la voglia di unirsi a loro.

Uscì sulla soglia e fermò un gruppo di donne per interrogarle. Una di loro le sorrise amichevolmente e le disse che era la processione del giorno dei morti. Vieni, vieni anche tu, le fece poi.

Mia sorella, esaltata come era, non ci pensò su a lungo, e già aveva afferrato il cappotto e si annodava il fazzoletto in testa, quando notò che nella mano di ognuno, grande o piccolo che fosse, riluceva il bagliore di un cero.

Non ho una candela, si crucciò dispiaciuta.

Non ti preoccupare, fece la donna col suo sorriso buono, Ne ho una in più per te.

Mia sorella si sentì felice come una bambina e, scordando persino il fuoco acceso nel camino, si infilò le scarpe e lo scialle sul cappotto e si unì alla processione.

Se glielo chiedete, oggi come allora, vi risponderà che tutti insieme, uno accanto all’altro, camminarono per il sentiero fino al cimitero, pregando la Madonna e cantando delle canzoni che non aveva mai sentito, ma che riuscivano a scuoterle l’anima fino a commuoverla. Si fermarono davanti alla chiesa nel bosco senza entrarci e intonarono una preghiera al Padre celeste. Poi si voltarono, tenendo le candele alte a illuminare i loro passi, e ricominciando a cantare quelle dolci canzoni, tornarono sui loro passi. Arrivarono davanti alla casa di mia sorella e la signora dallo sguardo gentile che l’aveva invitata a unirsi a loro le disse di tornarsene dentro in fretta, perché faceva freddo. Doveva stare attenta a non ammalarsi, per la bambina che aveva nel ventre. Mia sorella sorrise. Anche lei segretamente sperava che il figlio in grembo fosse una bambina, anche se tutti le dicevano che, con quella pancia a punta che si ritrovava, sarebbe stato maschio. Salutò con riconoscenza la signora che si era presa tanta cura di lei e si infilò subito dentro casa.

Il fuoco si era spento, la brace era fredda. Non l’avrebbe riattizzata. Fece per salire in camera a dormire, quando si rese conto di aver ancora in mano l’esile cero della signora gentile. Allora corse a sporgersi sulla soglia: forse avrebbe fatto ancora in tempo a correre dietro alla processione e restituirgliela. A quel tempo le candele erano preziose. Ma tutta quella bella gente era già sparita nel buio, senza lasciar nemmeno una traccia luminosa sulla strada inghiottita dalla notte. Lei si chiese come fosse possibile non scorgere nemmeno un lumicino di lontano. E tuttavia non si fece altre domande. La sensazione di pace che l’aveva accompagnata per tutta quella notte le riscaldava ancora il cuore e quello la cullava in una sorta di smemorata noncuranza .

Depose la candela nel camino e corse a dormire, esausta dalla lunga camminata. Si svegliò all’alba al rumore del marito che rientrava. Scese, lo salutò, andò a prendere dei ciocchi nuovi, ma quando si chinò sul camino per far posto al nuovo fuoco, al posto della candela trovò un osso lungo e bianco, dritto in piedi, proprio nella posizione in cui aveva lasciato il cero”.

La comare si ammutolì d’un tratto. Gli uncinetti restarono sospesi sui lavori spiegati sulle gonne delle donne. Le ombre stesse si allungarono verso la comare, in attesa del seguito che tutti sapevano sarebbe arrivato.

“Dopo due mesi”, riprese lei, accontentandoli tutti, “mia sorella partorì. Come aveva detto la signora della processione dei morti, nacque femmina, nonostante tutte le predizioni delle nonne e delle indovine del paese”. Poi, con il risolino di chi non si lascia ingannare facilmente, aggiunse: “I morti la sanno più lunga dei vivi”.

La comare ridacchiava, e mia madre e le altre donne la guardavano come inebetite.

Seduto ai loro piedi a far finta di giocare con le mie biglie e occupato a ignorare la carezza sfuggente che sentii passarmi su per la schiena in quel momento, neanche io ridevo. Di lontano, un inno a Gesù risorto attraversava le strade del paese.


2 commenti:

  1. Carino, finalmente qualcosa che non ha a che fare con Halloween, che a dirla tutta è una festa che non ci riguarda.

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    1. Grazie!
      L'altra settimana stavo vedendo l'episodio di una serie americana molto popolare e lo sai che anche loro, gli americani, invece di festeggiare Halloween parlavano della festa dei morti dei paesi latini d'America? Una ricorrenza molto simile alla nostra, che deriva dalla nostra commemorazione dei morti.
      Anche gli americani si sono stancati delle streghe. :D

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